martedì 26 giugno 2012

Come indiana Jones, alla ricerca del quadro perduto.

Erano anni ormai che la chiesa di Sant’Anna era stata abbandonata,  era diventata luogo di nidificazione per i piccioni.    L’arciprete Don Alfonso Puma  consegnò a mia suocera la chiave della chiesa perché la custodisse e fosse disponibile alla bisogna.   Un caldissimo dopo pranzo di agosto, mi giravo e rigiravo sul materasso di lana, sperando di poter prendere sonno,  quando suonarono il campanello della porta.    Mi precipito al balcone, era  Pietro Tulumello,  accanto a lui il Direttore Di Falco,  due grandi amici.    Quando mi vide  Pietro con la massima disinvoltura mi chiese:  “chi fa ti disturbammu”?  gli feci cenno di aspettare , sono sceso e ho chiesto a cosa fosse dovuta quella bella improvvisata alle tre e mezza del pomeriggio; Pietro mi rispose che gli serviva la chiave della chiesa per fare delle fotografie. Procuratomi la chiave, ritorno da loro e il direttore, conscio della rottura di “cabasisi”, mi lancia affettuosamente un  “chi si dici Robertì”?  Accenno un sorriso.  Giungemmo alla chiesa, salimmo le scale e aprii il portone.    Entrammo,   il tanfo di rinchiuso e la puzza di piccioni morti era insopportabile,  i raggi del sole che filtravano dalle finestre illuminavano il pulviscolo facendo sembrare l’aria sporca,  come tutto del resto, calcinacci ovunque, e soprattutto tanta,  tantissima polvere.   Ci muovevamo con circospezione  temendo potesse crollare tutto;  Pietro si mise a scattare foto,  il direttore cercava particolari degni di essere immortalati,  io li guardavo  un po’ scazzato.  Poi siamo entrati in sagrestia e abbiamo trovato per terra:  vestiari, tanti fogli, libri strappati e quello che ci stupì i registri della canonica.     Il direttore esclamò,  “no, non è possibile”!  Quanta storia in quei registri,  un patrimonio culturale che rischiava di andare perso nel totale abbandono e disinteresse!    Non toccate niente, disse il direttore Di Falco, parlo io con Alfonso (L’arciprete) e faccio sistemare tutto. Tornammo indietro nella navata della chiesa e ci avvicinammo all’altare,   al centro  c’era un grande quadro tenuto appeso da due ganci in alto e due grossi chiodi da fabbro ad uncino in basso , che agganciavano il quadro alla parete.    Si trattava di un quadro votivo  “pittato”  da un dilettante o peggio,   una crosta,  lo definì il direttore Di Falco.  I miei amici ripresero a fotografare, mentre io rimasi incuriosito da quei grossi chiodi da fabbro e mi accorsi di qualcosa di strano…….  gridai  “ nantru ci nè sutta”.   Pietro lasciò perdere di fotografare e venne da me, avvicinò la testa al muro e verificò la presenza  di un altro quadro.   Il direttore,  guardandoci con stupore, disse:  “picciuò sicuri siti”?  Sì,  rispose Pietro,  mentre afferrato il grosso chiodo lo strattonò,  il gesso marcio del muro cedette facilmente e con altri due colpetti,  il chiodo si staccò dal muro.   “Sinnivinni”,  disse il direttore Di Falco,  a quel punto anch’io ripetei le stesse operazioni sull’altro chiodo estirpandolo.  Sollevammo il quadro dal muro facendo perno sulle staffe superiori quanto basta per infilarci la testa e guardare,  il direttore impaziente ci chiese, “chi c’è Picciuò”?  Una bellissima cornice di stucco e oro zecchino, fu la nostra risposta.   Se la cornice è bella,  sentenziò il direttore,  il quadro non può essere da meno.    “Chi faciemmu”? chiese Pietro,  il direttore in qualità di comandante anziano prese la decisione:   “Siemmu ccà, amma vidiri”,  sganciammo il quadro e lo adagiammo a terra.    La cornice era veramente molto bella,  tutta lavorata e luccicante,  ma dentro si vedeva una tela completamente nera.    Decenni di fumo di candele,  polvere e chissà cos’altro si erano depositati su quella tela coprendo il dipinto.    La delusione fu grande,  il direttore Di Falco ci spiegò che potevamo usare delle patate tagliate per pulire la tela, seguimmo il suo consiglio.  Funziona esclamò Pietro!  In poco tempo riuscimmo a pulire una piccola parte del dipinto,  quanto bastava per capire che ci trovavamo davanti a una delle tele di  PIETRO  D’ASARO,  il nostro amato  Monocolo Racalmutensis.   Eravamo davvero emozionati.    Il direttore Di Falco disse che bisognava avvisare immediatamente padre Puma,  ” sannò cù lù senti”, sentenziò.    Uscimmo dalla chiesa e scendemmo in piazzetta.    Da un telefono pubblico Pietro avvisò  Padre Puma della scoperta e che l’aspettavamo in chiesa. Tornammo  davanti a quella tela nera del 1600 commentando euforici la scoperta.   Dopo cinque minuti vedemmo entrare Padre Puma che con passo lesto veniva verso di noi.   Quando ci raggiunse, nemmeno ci salutò,  guardò il quadro e disse: è lui è lui!  Sorrideva,  il nostro carissimo Don  Alfonso,  come se avesse ritrovato un caro vecchio amico.   Domani stesso,  disse, telefono alla sovraintendenza e faccio venire qualcuno,  bisogna restaurarlo al più presto.    Fu di parola l’arciprete Don Alfonso Puma,  il quadro è stato restaurato, oggi si trova sull’altare della chiesa di Sant’Anna dove i cittadini di Racalmuto , possono ammirarne la bellezza.   Sono felice e orgoglioso di essere stato,  assieme all’amico Pietro e soprattutto al nostro comandante  Giovanni Di Falco,  artefice di questa straordinaria avventura.


Roberto Salvo

                                                                                                            


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4 commenti:

  1. grazie all'amore e la dedizione di persone come Pietro Tulumello, il Dott. Di Falco e tanti altri ancora che Racalmuto sopravvive, malgrado gli insulti di chi l'ha malamministrata nei decenni. Chissà quanti altri tesori ancora da scoprire nelle chiese e nelle sacrestie di Racalmuto. Bisognerebbe che qualcuno riuscisse a coinvolgere un cane da tartufo come il Prof. Sergio Amato, per scoprire o valorizzare tesori che neanche noi immaginiamo possedere: mi è capitato di leggere la sua rubrica su malgrado tutto web e credo che possa essere la persona giusta, rimanendo confinati in ambito locale.

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  2. Peccato che la chiesa di sant'Anna sia chiusa. Un altro tesoro privato agli sguardi dei racalmutesi.
    Pietro

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  3. se c'è qualcosa di artisticamente valido o da valorizzare a Racalmuto è la sovraintendenza che lo dovrebbe stabilire e non persone più o meno simpatiche o più o meno competenti indigene, senza alcun ruolo istituzionale: stiamo parlando di patrimonio artistico pubblico!

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    1. Ce lo auguriamo tutti che la Sovrintendenza possa occuparsi del patrimonio artistico di Racalmuto.
      Racalmutese Fiero

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