A
Racalmuto siamo ossessionati dalle convenzioni. Attenti ad ogni
minimo particolare, pronti ad evitare ogni scortesia, ogni
pettegolezzo, conduciamo la nostra vita “pi
uocchiu di munnu”. E, in onore di questa filosofia, ci precipitiamo a casa delle persone
per far loro “na visita”,
perché vogliamo esserci e partecipare alle gioie o ai dolori del
nostro prossimo, non curandoci minimamente se la visita è gradita o
meno. Non tutto quello che facciamo, però, sentiamo veramente e
sinceramente di farlo. Costringiamo noi stessi in situazioni che
vorremmo volentieri evitare. E allora assistiamo – per fortuna
ormai più raramente - a persone che, avendo perso i loro cari,
costringono se stessi in un lutto pluriennale. Non importa se, col
tempo, naturalmente sentiamo il bisogno di aprirci nuovamente alla
vita. Il nero d’obbligo, il pianto a comando. Ammessa solamente la
frequenza in chiesa, tanto che frequentarla e pregare il più
possibile rappresenta un piacevole diversivo alla vita monotona. Ci
preoccupiamo sempre del giudizio del prossimo, pensando di
comportarci in maniera poco consona.Tutto è “vrigogna”,
raramente si sentirà un anziano dire ho fame, preferirà riferire
“aiu dibulizza”.
Io mi chiedo quante di queste persone, adottano tali atteggiamenti
fuori dal paese, dove ci sentiamo più liberi nei pensieri e nelle
azioni. Conduciamo, in sostanza, la normale vita che un essere
normale dovrebbe condurre. Non più, quindi, convenzioni ma piuttosto
condizionamenti, che poco ci fanno vivere, obbligandoci in una
costrizione mentale che non ci fa esprimere e ci rende chiusi e poco
innovativi, propensi a giudicare tutto e tutti, magari con un pizzico
di malizia. Se non facciamo nulla di male, se non offendiamo il
nostro prossimo, se non arrechiamo danno ad alcuno, se conduciamo la
nostra esistenza secondo le nostre regole, i nostri principi, che
siano entro i canoni della convivenza civile, facciamo la nostra
vita come meglio crediamo, seguendo quelli che sono i nostri
desideri, le nostre aspirazioni, senza condizionamenti.
Racalmutese
Fiero
tutti ( chi più, chi meno) a questo mondo ci facciamo condizionare dal giudizio degli altri, ma noi Racalmutesi stiamo piuttosto attenti alle apparenze.Le cose si fanno "pi duviri","pi rispiettu".Io cerco di fare ciò che mi sento, perchè la gente ha sempre da ridire, voglio stare bene con me stessa e con le persone a cui voglio bene.
RispondiEliminagiusi
Una volta un'affettuosissima signora, passando davanti casa sua, mi fece cenno di avvicinare da lei. Avvicinatomi, incominciò a rivolgermi sperticati complimenti e gioiose felicitazioni per la fidanzata di cui aveva avuto notizie. Mentre lei parlava come un fiume in piena, io ero imbarazzato perché aspettavo uno spiraglio di tregua per dirle che non ero più fidanzato e che con quella persona mi ero, come si dice, lasciato. Quando finalmente potei farlo, la signora si astenne repentinamente dal proseguire nei complimenti e nel decantare le lodi della ragazza, alzò gli occhi al cielo, allargò le mani e per rincuorarmi, secondo le sue intenzioni, pronunciò queste fatidiche parole: Pierì, nenti ci fa; mori lu sceccu e veni lu mulu. Come dire: quella era buona ma ne verrà una migliore.
RispondiEliminaE dire che per certuni non avrei dovuto fare quella scelta, per occhio della gente!
“Ognuno è ciò che gli altri credono che egli sia”. Questo, ci ha insegnato il nostro grande Luigi Pirandello.
RispondiEliminaNemmeno ci accorgiamo più di questo nostro modo di comportarci; come automi seguiamo schemi e regole non scritte,assorbite per induzione nel tempo, apparire quindi, invece di essere. Agiamo secondo certi schemi codificati, “pi duviri”, “pi uocchiu di genti”, “pari laidu”. Il giudizio della gente, giusto o sbagliato, pesa molto in una piccola comunità, come diceva Totò, “il paese è piccolo la gente mormora”, preferiamo assecondare invece che spiegare e questo condiziona inesorabilmente i nostri comportamenti. Partecipiamo spesso ad eventi solo perché pensiamo di non poterne fare a meno, recitiamo il nostro ruolo nella commedia della vita paesana. Mentre dovremmo vivere come quei cinque matti del film “ AMICI MIEI”.
Caro amico Racalmutese Fiero, io non lo so se era meglio vivere prima (pi occhiu di munnu)) o oggi (ognuno per se stesso); è evidente a tutti che la nostra mentalità è molto cambiata, è più aperta rispetto al passato: più si apre più si è liberata da certi comportamenti "arretrati", superati. Il cambiamento degli usi e dei costumi cambia necessariamente l'essere racalmutese, non si può fare a meno: va così. Niente di strano, sarà un'altra Racalmuto da raccontare. Permettimi un'osservazione: l'espressione "aiu dibilizza" è molto raffinata e non la cambierei con "aiu fame". Si mangia per vivere, non si vive per mangiare, e nei momenti di carestia un adulto mangiava per vivere, la vera debolezza umana è senz'altro la fame. (sergio scimè, blogger regalpetra libera)
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