Erano anni ormai che la chiesa di Sant’Anna era stata abbandonata, era diventata luogo di nidificazione per i
piccioni. L’arciprete Don Alfonso Puma
consegnò a mia suocera la chiave della chiesa perché la custodisse e
fosse disponibile alla bisogna. Un
caldissimo dopo pranzo di agosto, mi giravo e rigiravo sul materasso di lana,
sperando di poter prendere sonno, quando
suonarono il campanello della porta.
Mi precipito al balcone, era Pietro Tulumello, accanto a lui il Direttore Di Falco, due grandi amici. Quando mi vide Pietro con la massima disinvoltura mi chiese:
“chi fa ti disturbammu”? gli
feci cenno di aspettare , sono sceso e ho chiesto a cosa fosse dovuta quella
bella improvvisata alle tre e mezza del pomeriggio; Pietro mi rispose che gli
serviva la chiave della chiesa per fare delle fotografie. Procuratomi la
chiave, ritorno da loro e il direttore, conscio della rottura di “cabasisi”, mi
lancia affettuosamente un “chi si dici Robertì”? Accenno un sorriso. Giungemmo alla chiesa, salimmo le scale e
aprii il portone. Entrammo, il tanfo di rinchiuso e la puzza di piccioni
morti era insopportabile, i raggi del
sole che filtravano dalle finestre illuminavano il pulviscolo facendo sembrare
l’aria sporca, come tutto del resto, calcinacci
ovunque, e soprattutto tanta, tantissima
polvere. Ci muovevamo con
circospezione temendo potesse crollare
tutto; Pietro si mise a scattare
foto, il direttore cercava particolari
degni di essere immortalati, io li
guardavo un po’ scazzato. Poi siamo entrati in sagrestia e abbiamo
trovato per terra: vestiari, tanti
fogli, libri strappati e quello che ci stupì i registri della canonica. Il direttore esclamò, “no,
non è possibile”! Quanta storia in
quei registri, un patrimonio culturale
che rischiava di andare perso nel totale abbandono e disinteresse! Non
toccate niente, disse il direttore Di Falco, parlo io con Alfonso
(L’arciprete) e faccio sistemare tutto. Tornammo indietro nella navata della
chiesa e ci avvicinammo all’altare, al centro
c’era un grande quadro tenuto appeso da due ganci in alto e due grossi
chiodi da fabbro ad uncino in basso , che agganciavano il quadro alla parete. Si trattava di un quadro votivo “pittato”
da un dilettante o peggio, una
crosta, lo definì il direttore Di
Falco. I miei amici ripresero a
fotografare, mentre io rimasi incuriosito da quei grossi chiodi da fabbro e mi
accorsi di qualcosa di strano……. gridai “
nantru ci nè sutta”. Pietro lasciò
perdere di fotografare e venne da me, avvicinò la testa al muro e verificò la
presenza di un altro quadro. Il direttore, guardandoci con stupore, disse: “picciuò
sicuri siti”? Sì, rispose Pietro, mentre afferrato il grosso chiodo lo
strattonò, il gesso marcio del muro
cedette facilmente e con altri due colpetti,
il chiodo si staccò dal muro. “Sinnivinni”, disse il direttore Di Falco, a quel punto anch’io ripetei le stesse
operazioni sull’altro chiodo estirpandolo.
Sollevammo il quadro dal muro facendo perno sulle staffe superiori quanto
basta per infilarci la testa e guardare,
il direttore impaziente ci chiese, “chi
c’è Picciuò”? Una bellissima cornice
di stucco e oro zecchino, fu la nostra risposta. Se la
cornice è bella, sentenziò il
direttore, il quadro non può essere da meno.
“Chi faciemmu”? chiese
Pietro, il direttore in qualità di
comandante anziano prese la decisione: “Siemmu ccà, amma vidiri”, sganciammo il quadro e lo adagiammo a
terra. La cornice era veramente molto
bella, tutta lavorata e luccicante, ma dentro si vedeva una tela completamente
nera. Decenni di fumo di candele, polvere e chissà cos’altro si erano
depositati su quella tela coprendo il dipinto. La delusione fu grande, il direttore Di Falco ci spiegò che potevamo
usare delle patate tagliate per pulire la tela, seguimmo il suo consiglio.
Funziona esclamò Pietro! In
poco tempo riuscimmo a pulire una piccola parte del dipinto, quanto bastava per capire che ci trovavamo
davanti a una delle tele di PIETRO
D’ASARO, il nostro amato Monocolo Racalmutensis. Eravamo davvero emozionati. Il direttore Di Falco disse che bisognava
avvisare immediatamente padre Puma, ” sannò cù lù senti”, sentenziò. Uscimmo dalla chiesa e scendemmo in
piazzetta. Da un telefono pubblico
Pietro avvisò Padre Puma della scoperta
e che l’aspettavamo in chiesa. Tornammo
davanti a quella tela nera del 1600 commentando euforici la
scoperta. Dopo cinque minuti vedemmo
entrare Padre Puma che con passo lesto veniva verso di noi. Quando ci raggiunse, nemmeno ci salutò, guardò il quadro e disse: è lui è lui! Sorrideva,
il nostro carissimo Don
Alfonso, come se avesse ritrovato
un caro vecchio amico. Domani stesso, disse, telefono
alla sovraintendenza e faccio venire qualcuno,
bisogna restaurarlo al più presto. Fu di parola l’arciprete Don Alfonso
Puma, il quadro è stato restaurato, oggi
si trova sull’altare della chiesa di Sant’Anna dove i cittadini di Racalmuto ,
possono ammirarne la bellezza. Sono
felice e orgoglioso di essere stato,
assieme all’amico Pietro e soprattutto al nostro comandante Giovanni Di Falco, artefice di questa straordinaria avventura.
Roberto Salvo
grazie all'amore e la dedizione di persone come Pietro Tulumello, il Dott. Di Falco e tanti altri ancora che Racalmuto sopravvive, malgrado gli insulti di chi l'ha malamministrata nei decenni. Chissà quanti altri tesori ancora da scoprire nelle chiese e nelle sacrestie di Racalmuto. Bisognerebbe che qualcuno riuscisse a coinvolgere un cane da tartufo come il Prof. Sergio Amato, per scoprire o valorizzare tesori che neanche noi immaginiamo possedere: mi è capitato di leggere la sua rubrica su malgrado tutto web e credo che possa essere la persona giusta, rimanendo confinati in ambito locale.
RispondiEliminaPeccato che la chiesa di sant'Anna sia chiusa. Un altro tesoro privato agli sguardi dei racalmutesi.
RispondiEliminaPietro
se c'è qualcosa di artisticamente valido o da valorizzare a Racalmuto è la sovraintendenza che lo dovrebbe stabilire e non persone più o meno simpatiche o più o meno competenti indigene, senza alcun ruolo istituzionale: stiamo parlando di patrimonio artistico pubblico!
RispondiEliminaCe lo auguriamo tutti che la Sovrintendenza possa occuparsi del patrimonio artistico di Racalmuto.
EliminaRacalmutese Fiero