(a
cura di Piero Carbone)
L’esperienza
di uno dialettologo a Racalmuto agli inizi degli anni ’80 del secolo
scorso
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Un
nodo da sciogliere: perché casola invece di fasola nel Ragusano?
Non
avrei mai pensato, quando, studente universitario di primo anno, appresi dal
professor Giorgio Piccitto, – alle lezioni di Glottologia – che
a fasola,
in italiano ‘i fagioli’, si chiamasse
a casola
a Ragusa, non avrei mai pensato, dicevo, che la soluzione di quel
k- per
f-, problematico in quella primavera del 1967, l’avrei trovata un
giorno a Racalmuto in provincia di Agrigento. Quasi senza cercarla.
Peraltro,
avendo avuto modo di conoscere, di lì a poco, una studentessa universitaria della
provincia di Agrigento che studiava nella mia stessa Università e che
collaborava per la sua area alla raccolta di materiali per il Vocabolario siciliano, grazie a lei
venni a conoscenza del fatto che, in area agrigentina, appunto, la carruba si chiamasse farrubba. Il problema del k- per f- si poneva ora, in maniera speculare, accanto al problema dell’f- per k-.
Da
dove partire?
I
due problemi non potevano non essere interrelati e tutto mi faceva credere che
costituissero la doppia faccia della stessa medaglia.
Non
potevo aver fretta. Del resto sapevo – me l’avevano frattanto insegnato tanti
maestri, Giorgio Piccitto e Giovanni Tropea a Catania, Manlio Cortelazzo e
Giovan Battista Pellegrini a Padova – che dietro alla soluzione di un problema
si poteva stare anche anni. Pellegrini lo ribadiva particolarmente per la
ricerca etimologica. L’importante è porseli, i problemi. Poi, per quel che
riguarda l’etimologia – e in genere la linguistica storica – la soluzione
arriva quando si viene a scoprire l’anello mancante.
D’altra
parte, più volte i miei genitori – pure loro maestri, di vita più che di studi
– mi avevano esortato alla costanza col noto proverbio dammi tempu chi ti pèrciu!, che è quanto un topolino avrebbe detto a
una noce sana e robusta, sicura di non essere bucata dai dentini del piccolo
topo, il quale, invece, per la costanza riuscì nel suo intento.
La soluzione è lontana: nell’area agrigentina
Fu così
che la soluzione di quella strana aporia, k-
per f- e f- per k-, mi balenò
nitida in un’assolata mattina d’agosto, a Racalmuto, durante un’inchiesta
dialettologica che vale la pena ricordare.
Passavo
una parte delle vacanze estive a Castrofilippo, dai miei suoceri – la ragazza
agrigentina era frattanto diventata mia moglie.
Che
fare a Castrofilippo, un piccolo paese dove non succede niente, dove in
campagna, chi non vi lavora, ci va solo nel tardo pomeriggio per diporto, dove
la gente, d’estate soprattutto, è intenta al lavoro nei vigneti e negli orti o
ai commerci e non si trova quasi nessuno per le strade assolate?
O
studiare o, nella mia condizione, esercitare il mestiere del dialettologo. In
giro per i paesi vicini. Peraltro con l’avidità di chi sa di trovarsi in una
zona quasi maghrebina, dove gli uomini, taciturni, bassi e scuri sembrano
rassegnati alla vita e al sole cocente, e con l’interesse dello studioso a
scoprire un’area poco nota e, forse, poco studiata.
Inseguivo
l’idea che la presenza dell’arabo in quell’area dovesse essere ancora forte.
Scebba al posto di
liscìa e
ticchjara: alcuni arabismi
di prevalente area agrigentina
Nella famiglia di mia moglie sentivo ancora adoperare –
dalla nonna anziana – due arabismi che
mi avevano particolarmente colpito: scebba ‘un particolare tipo di cenere
per il ranno’ a me nota come liscìa,
e ticchjara ‘il caprifico’, partic. nel
prov. caru amicu - la ticchjara fa li ficu per dire che ‘è
dovuta al caprifico la fecondazione dei fichi’ e estens. ‘è la persona
adeguata, ad es. l’artigiano specialista, a portare a buon termine un lavoro
specifico, e non il praticone che sa fare tutto, ma in maniera assai dozzinale’.
In quella zona, infatti, nel periodo adeguato si raccolgono ancora i frutti del
caprifico, se ne fa una collana e con questa si inghirlanda l’albero del fico
pronto a sbocciare.
Da Castrofilippo al Vocabolario Siciliano
Quante
altre parole, locuzioni, proverbi e costrutti particolari avevo frattanto
potuto raccogliere nella piccola Castrofilippo, in gran parte finiti nel Vocabolario siciliano fondato da Giorgio
Piccitto e allora in fase di realizzazione (i cinque volmi vennero completati
poi nel 2002).
Come
non ricordare, a questo proposito, la diversa collocazione degli elementi di
una frase complessa pronunciata con tono enfatico, cpome, ad esempio, Ti li dugnu! vidi ca (lett. ‘Te le do!,
vedi che’) detta come minaccia, ad es. a un bambino, che ha fatto finta di
niente del primo non marcato avvertimento Vidi
ca ti li dugnu!; o la focalizzazione in chjovi,
quasi ca per attirare l’attenzione dell’interlocutore sull’imminenza della
pioggia, e ancora la marcatezza del costrutto iu menzu foddhi sugnu, mpazzi ca ti pari ca! per dire che
l’apparente calma del soggetto che parla è illusoria e che è il caso di
smettere di fare o di dire qc. che urti la sua suscettibilità (lett. ‘io mezzo
folle sono, non faccia che ti sembri che [non sia così])!
Come
non ricordare queste cose e tante altre ancora?
Su
queste basi e sull’onda dell’entusiasmo della conoscenza della Sicilia
linguistica che s’allargava sempre più attraverso la redazione di centinaia di
pagine del Vocabolario Siciliano,
nulla di meglio mi si poteva offrire del conoscere dall’interno un’area nella
quale il diffuso bilinguismo arabo-romanzo di quasi un millennio prima
continuava a restituire alla ricerca ben più che frustoli sparuti. Triddinari, ad esempio, il nome della
cicatricola dell’uovo – spesso presente in Sicilia insieme a farrubbeddra – trovava motivazione proprio
in quest’ultima denominazione che muove dal modello arabo h a r r ū b ‘nome
d’una piccola moneta di bronzo, di 3 centesimi’, di cui è traduzione. E la
stessa cosa può dirsi della coppia (crapa) fartasa/tignusa ‘capra
senza corna’. La parola araba, anzi berbera, fartasa, è diffusa in una piccola area nordorientale tra Adrano e
Messina, un’area che nel Medioevo fu prevalentemente greca, ma manca ad
Agrigento, la capitale dei Berberi di Sicilia, e nella Sicilia centrale, dove è
invece presente tignusa. Nella cuspide
nordorientale i pastori e i caprai agrigentini avevano esportato la capra
maghrebina, senza corna, e il nome, fartasa:
oscuro e immotivato per i loro colleghi di lingua greca, che quel nome accolsero
come prestito. Ma non per loro che, attori del bilinguismo romanzo-arabo,
furono in grado di tradurre fartasa
con tignusa.
Nulla
di meglio, su queste basi, che esplorare la zona a cavallo tra Caltanissetta ed
Agrigento, a cominciare dai piccoli centri, nell’Agrigentino, di Racalmuto,
Grotte, Comitini, Favara e, nel Nisseno, di Delia, Milena, Bompensiere, gran
parte dei quali con nome arabo, Milena inclusa. La quale, se pur se chiamata
così in onore della regina del Montenegro, madre della regina Elena, è ancora popolarmente
chiamata Milocca, e Bompensiere, arabo nel nome ufficiale (in
documento quattrocentesco è ricordato come Bumanzili)
e in quello popolare, che è ancora Naduri.
Racalmuto
fu la prima tappa delle mie indagini e il luogo dove avrei trovato la soluzione
del vecchio problema.
Salvatore C. Trovato (Università
di Catania)
Il
post, riveduto dallo stesso autore e adattato a un pubblico non specialista è
pubblicato nella sua redazione originaria nel vol. Per i linguisti del nuovo millennio. Scritti in onore di Giovanni Ruffino a cura del Gruppo di ricerca
dell’Atlante Linguistico della Sicilia,
Palermo, Sellerio, 2011, pp. 93-99.
Nuova è la titolazione e la stessa paragrafazione.
Carmelo mi chiede su facebook come va a finire con la f e la h; la domanda penso se la siano posta tanti altri lettori; anticipo che la risposta è contenuta nel post che verrà pubblicato domani. Lasciamo un po' di suspense.
RispondiEliminaUn post appassionante.
RispondiEliminaGiovanna
Lo scritto del prof Trovato assume importanza territoriale e tradizionale. Una vera chicca.
RispondiEliminaAngelo
Racalmuto racchiude tante varianti dello stesso dialetto, in un territorio così concentrato.
RispondiEliminaAlfonso
Articolo molto interessante. Nei termini dialettali c'è tutta la storia di un paese.
RispondiEliminaMaria