sabato 30 giugno 2012

HO IMPARATO A VOLARE DENTRO IL SOGNO DEI TUOI “OCCHI”

Riceviamo e pubblichiamo questa toccante lettera della mamma di Giovanni Domenico. Sono parole che sgorgano da un cuore semplice. Un dialogo che niente può interrompere tra una madre e il suo adorato figlio. Spesso gli accadimenti ci lasciano provati nell'intimo, ancor di più quando questi rappresentano quello che, nella nostra condizione umana, leggiamo contro natura. Giovanni Domenico ha compiuto ciò che a lui era destinato in questa vita. Siamo certi che Racalmuto saprà far sentire la vicinanza e l'affetto alla mamma di Giovanni e al suo papà.


Un giorno ti svegli e , comprendi che nella tua vita non c'è più luce, il sole che illuminava i giorni  , i nostri giorni, sereni è solo un ricordo . Ti accorgi che il vuoto ha soprafatto ciò che rimane di un tempo  passato che vivo nel mio cuore con una  nostalgia che non ha eguali. Da quando tu  sei andato via, non vivo più, mi limito a vegetare, ad annaspare nella confusione, nell'attesa di apprendere che la realtà sia  questa, e forse con la speranza che tutto non sia vero ma soltanto un terribile incubo di una notte lunga e interminabile che ancora  non mi da risveglio.

Giovanni, tesoro mio, ora né ho la certezza,  è sbagliato il detto “il tempo è la cura per ogni cosa” … Il tempo passa, ma non per me,  ogni giorno i passi lenti del mio cammino fanno più fatica, tutto diventa ancora più faticoso e affannoso nell'approccio al cammino che ancora mi aspetta. Stanco è  il mio respiro , non ho più forza. Dura e pesante, ripida e spinosa la salita  che  percorrerò   per poi arrivare a niente e nulla, perché il mio tutto era racchiuso in due visi bellissimi, gioiosi, dolcissimi che per me erano un bene  incommensurabile, sarà per sempre, mi dicevo, non è stato così, una parte di quel bene mi è stato portato via in un attimo, ed io non ho più te, perduto, senza poter ribattere, senza avere il tempo di comprendere che il mio cammino aveva imboccato  un sentiero buio, lastricato di pietre che ad ogni passo lasciano una ferita inguaribile e un'unica certezza: non sei più con me .  Com'è  cambiata la mia vita, eppure, sembra ieri quando, felice aprivo le finestre e senza un reale motivo, sorridevo al nuovo giorno, sorridevo e ringraziavo il cielo che mi dava la gioia di vedere crescere la mia famiglia, con nel cuore la speranza di una madre che, dopo mille sacrifici gioiva, nel vedere i suoi figli vivere la vita e guardandoli sentirsi orgogliosa di come erano. Ti scrutavo ed era una gioia per me vedere ogni giorno il tuo sorriso che fu così dolce, pieno di speranza e dolcezza da dare, grandi le tue mani, che erano già da uomo pur essendo in tenera età. Immenso come  il mare l'amore che riuscivi a dare, bello il tuo sguardo che penetrava il mio cuore e di chi ti ha conosciuto, lenti e discreti i passi che davano la sensazione di voler rispettare il silenzio che vive in ognuno di noi, angelico il tuo viso che emanava luce ogni qualvolta io ti guardassi. Fiera ero e sono di te. Ieri, era  così, ora non so da  dove  cominciare per  dire ciò che mi rimane di tutto quello che avevo sognato, di tutto ciò che il mio cuore desiderava, di tutto ciò che mi rimane … So,  Giovanni, cosa mi  stai suggerendo: “ ti rimane, mio fratello, e tramite lui ti rimane il mio amore per te” Lo so, e soltanto per lui che vado avanti … Ma la mia vita era avere con me  due creature meravigliose, guardare due volti che erano il mio mondo ed ora    non riesco ad accettare che tu mi hai lasciato, la mente ritorna a quando ho sentito battere il tuo cuore assieme al mio, ho trattenuto il mio respiro per sentire il tuo. Avevo giurato  a me stessa che ti avrei protetto da tutto e tutti.  Ho dato tutto di me pur di conoscerti, averti tra le braccia, crescerti , averti  tutto per me, gioire nel vederti gioire. Nel mio immaginario vedevo, nei minimi particolari quanto di bello sarebbe stata la vita, forse è stato proprio questo, che ha distrutto i miei sogni. Quello di  voler conoscere  tutto  di te prima, tramite le mie aspettative e i miei pensieri di mamma orgogliosa del proprio figlio. Adesso  non  riesco a vedere un futuro  ma rabbia, incertezze,  dolore  e pianto , un pianto senza fine per una creatura meravigliosa come  eri tu, che aveva tutto il diritto di vivere la vita appieno.     Dentro me (credo che è così per tutte le mamme che hanno perduto un figlio) cresce inevitabilmente la disperata  curiosità di sapere come sarebbe stato mio  figlio in futuro e, il  rimpianto è grande. Idealmente la mente, mi trasmette  immagini di te,   di come saresti ora,  ma poi, con crudeltà, mi riporta alla realtà, a ciò che rimane veramente  buio, dolore e una parola che mai avrei voluto dire, fine … fine di una vita che poteva essere meravigliosa. Dove sei ? Come sei ora?   Non conoscerò mai il tuo volto da uomo e non saprò mai più nulla di te, mi restano i ricordi della nostra breve e grande conoscenza, amicizia, gioia, sguardi, confidenze, abbracci, pianti, litigate e poi pace e scherzi, sorrisi e tanto, tanto amore l'uno per l'altro. Sarai ciò che mi  farà andare avanti, sarai la salvezza della mia anima così arrabbiata e piena di dolore. Sarai ciò  che mi darà la forza che mi è venuta a mancare perdendo mio figlio. Sarai ovunque  io andrò, Lo so, sei e sarai nell'aria che respiro  e che tu non assapori più. Sei e sarai nelle nuvole che copriranno questo cielo. Sei e sarai nel sole che sorge ogni mattina e nel buio che oscurerà il giorno che finisce senza te. Tu, sarai sopratutto per sempre nel mio cuore, Sei e sarai il nome che chiamerò  fino all'ultimo giorno, all'ultimo  respiro che avrò. So, che   tutto questo non basta a consolarmi o a farti rivivere, ma è ciò che  mi rimane di una creatura meravigliosa mio figlio, che avrei voluto avesse, come tutti, un presente ed un futuro e , invece  ora sei  solo il passato , niente più vita e futuro e poi svanito come un soffio di vento che ti accarezza  piano  piano e poi lascia  quel brivido sulla pelle, che fa fatica a riscaldarsi.  Ora sarà solo pensarti, solo amarti e non averti più accanto. Ora sarà solo vivere di ricordi . Si ricordi stupendi che, mi hai donato, che  resteranno scolpiti per sempre nel mio cuore. Ora sarai il mio idolo per la vita, l'esempio da seguire sempre, sopratutto quando mi sentirò persa  in questo mondo che  ormai per me è  così grigio e dove io devo andare avanti senza di te.    Darei tutto di me . Per un solo istante con te … Faccio fatica a dire che non ci sei più e così nel silenzio che ho dentro, nel vuoto  che mi hai lasciato cerco disperatamente  quei giorni passati e nella mia mente faccio  in modo che “siano” ancora  quelli di allora per averti  sempre  accanto a me. Pensando a te, lo faccio come se il tempo non fosse mai passato, come se quest'incubo non sia mai avvenuto. Passano i mesi e scopro cose di te  che prima ignoravo e allora cerco disperatamente una spiegazione, una risposta  a tutto questo, ma non ne trovo e rimango immobile a sfiorare con il pensiero la tua  nobiltà d'animo, la tua candida tenerezza, il tuo essere così unico facendoli rivivere ancora e ancora nel mio cuore. Sono solo miei quei ricordi e niente e nessuno li cancellerà, sono miei e mi manchi, Dio solo sa quanto. Il silenzio  la tua assenza  che pervade la mia vita mi porta alla disperazione, non accetto, l'idea che non fai più parte del mondo, del giorno che nasce o della notte, dei colori che amavi nell'insieme infinito del bene e del male.  La mia disperazione sta nel sapere che ormai non cambierà, che non è solo un momento, un periodo e poi ritornerà tutto come prima, ed io già mi vedo nei giorni, negli anni che passeranno come una nullità assoluta, che non sa più cosa sia vivere, sorridere e abbracciare il mondo e la vita. Sono sola, Giovanni, sola, e a te chiedo: non abbandonarmi, la forza che tu mi dai, sarà il bastone che mi sosterrà negli anni bui che mi accompagneranno. A te  chiedo aiuto, guidami con la tua dolcezza e il tuo amore. A te dedicherò i giorni che passeranno e che  mi accompagneranno fini alla fine. Di te parlerò al  vento ,   ai fiori , al mare , al sole che mai più mi scalderà.  Consciamente di te avrò cura ancora  , come se fossi qui con me.  Con il  mio amore di mamma, anche se so che è impossibile,  ti  aspetterò, ti cercherò all'infinito. Darò il tuo nome a ciò che mi circonda e lo amerò come tu lo avresti amato, griderò il tuo nome al cielo, affinché tu lo possa sentire. Sarà il mio amore a farti vivere ancora, e anche se    tu sei andato via, anche se con la tua assenza non riesco a riprendere la mia vita come un tempo, sarai tu ( come sempre hai fatto ) a darmi quella forza che mi manca per poter dire: “ sono ancora viva, e c'è  un altro pezzo di cuore che ha bisogno di me”. Darei tutto di me per te. Sarai con me sempre.  Stammi vicino.

Mi manchi. Mamma.  


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QUESTA NOTTE HO SOFFERTO IL CALDO


Questa notte ho sofferto il caldo, mi sono svegliato e non sono riuscito a riprendere sonno, alle 4,30 decido di alzarmi, bevo un poco d’acqua e automaticamente accendo il PC. In questi casi cosa c’è di meglio che cazzeggiare in rete?  Prima cerco notizie sull’incontro di Monti in Europa, poi scrivo Agrigento sulla barra di Google e via. Tra i vari argomenti, viene fuori qualcosa che ha a che fare con Montedoro e il Castelluccio,” KLIK”. Appare sul monitor il nostro amato Castelluccio con accanto tre pale eoliche, non capisco, leggo che il comune di Montedoro è riuscito a bloccare, per il momento, la realizzazione di un parco eolico accanto al Castelluccio. Se prima non avevo sonno, adesso mi sembra di sognare, ma il Castelluccio non è in territorio di Racalmuto? Mi chiedo, cosa c’entra Montedoro?  Mi metto a caccia di tutto quello che si trova in rete, mamma mia, quanta roba: trovo un articolo molto bello e illuminante di mio nipote, Giovanni Salvo, scritto nel 2010, una lunghissima dichiarazione del’ex sindaco Petrotto, ecc. ecc. All’improvviso si è aperto davanti ai miei occhi un mondo sconosciuto di cui ero completamente ignaro e per di più, è una storia vecchia di anni. Penso, “Il paese della ragione”;  la ragione in filosofia, è la facoltà con la quale si esercita il pensiero , la ragione ritenuta facoltà universale e quindi condivisa da tutti.   “ Tutti amiamo il paese in cui siamo nati…….. ma Racalmuto è davvero un paese straordinario”.  Credo che questa bellissima frase che ci ha regalato il nostro amatissimo Nanà, dovrebbe spingerci a comportarci in modo tale da non smentirlo mai. Attenzione, io non sono contro le pale eoliche o qualunque altra forma di energia alternativa, anzi, al contrario credo che l’energia, anche se più costosa, deve essere sempre più pulita e di fonte rinnovabile. Si tratta a mio avviso solo di: buona volontà, sensibilità, serietà nel realizzare le cose, rispetto dell’ambiente, tutela paesaggistica e soprattutto del patrimonio culturale, interesse di tutti i cittadini presenti e futuri. Il progresso e l’energia per realizzarlo, devono per forza essere assoggettati a decisioni dell’uomo, tali da tutelare il passato e tutto quello che appartiene alla comunità, in quanto patrimonio inalienabile, da consegnare intatto alle future generazioni. Ho appreso con ritardo e incredulità questa storia che mi ha indignato in quanto Racalmutese, una piccola giustificazione posso vantarla per il fatto di non essere residente a Racalmuto, ma i Racalmutesi conoscono questa storia?


                                                                                              Roberto Salvo
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venerdì 29 giugno 2012

LA CASA DI TUTTI


Che il palazzo comunale sia, nella concezione generale, la casa di tutti, è un dato certo. Che i racalmutesi abbiano questa sensazione, pensando al comune e identifichino l’edificio e le istituzioni come parte integrante della vita collettiva, può far sorgere delle perplessità. Ma estendere tale concetto oltre il genere umano,  ignari  di quello che succede fuori  e dentro gli uffici, nei corridoi , per le scale e nei vari accessi al palazzo, ci sembra veramente troppo! Una muta di cani randagi, che ormai da tempo staziona nei pressi dell’ufficio postale e che ha scelto questo luogo come bivacco per la notte, attraversa l’edificio comunale utilizzando le due uscite – l’ingresso principale, di fronte la posta e quello superiore - per recarsi in largo Monte.  Vucumprà si recano indisturbati negli uffici per vendere le loro mercanzie. Zingari penetrano agevolmente nei locali comunali alla ricerca di qualche spicciolo generosamente offerto dagli impiegati. Tante persone, che non avrebbero motivo di sostare nei corridoi e sulle scale, godono del bel fresco in questo periodo di elevata calura. Come in tutti gli uffici al pubblico che si rispettino, anche il comune di Racalmuto dovrebbe avvalersi degli uscieri, che fungono da filtro e da smistamento  per la cittadinanza e per gli impiegati, evitando l’ingresso a persone che non hanno motivo di recarsi  al comune  ed impedendo ai cani randagi l’utilizzo dell’edificio come luogo per defecare o come  scorciatoia.  Se tutto ciò è reputato normale o di scarso rilievo,  allora consigliamo chi di dovere di munire i cani di apposito tesserino, almeno permetteremo loro una  regolare timbratura in entrata e in uscita.

Racalmutese Fiero – Salvatore Alfano
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giovedì 28 giugno 2012

GRATIS? NO, GRAZIE.


Nell’apprendere con piacere che il 20 luglio prossimo riaprirà il Teatro Regina Margherita, chiamato esornativamente da qualcuno “il teatro di Sciascia”,  voglio reiterare una domanda che feci pubblicamente sul web nel gennaio 2009 (tutt’ora reperibile: se la cercate oggi 28 giugno 2012 con Google, Pirandello vi sorriderà; nel 145° anniversario della sua nascita l’ovale del suo volto, accanto una maschera, rimpiazza una delle due “o” del motore di ricerca).

Una domanda evocata invano venerdì 12 marzo 2010 (“E i 13 spettacoli gratuiti del Brass Group lasciati decadere mentre a due passi Agrigento si autocandida Città internazionale del Jazz?”) e che voglio riproporre ora, non tanto per averne una risposta che non ho avuto mai da nessuno, né per quel silenzio istituzionale ci sono stati solidali echi sulle nostrane gazzette, ma nell’auspicio e direi nella speranza che tutte le proposte buone e convenienti  vengano prese in considerazione e magari attuate.

Altrimenti tra il dire e il fare, tra il fare in un certo modo e nel suo opposto, tra il  costare molto e il costare poco, non ci sarebbe alcuna differenza. Fino ad arrivare alla profferta quasi paradossale e all’ancor più paradossale risposta: - gratis! - no, grazie!!
Eppure, paradossale sicuramente non è stata la Convenzione stipulata a suo tempo tra il Brass Group di Palermo e il Comune di Racalmuto. Anzi!

E’ vero che la Fondazione Brass Group riceveva finanziamenti dalla Regione Siciliana anche con lo scopo di divulgare la cultura musicale ma che lo facesse scegliendo, su proposta di un assessore del tempo, il teatro di Racalmuto e non quello di qualche altro comune, rappresentava per la realtà racalmutese un’opportunità e un privilegio.

In cambio cosa chiedeva il Brass Group?
Non il cachet  degli artisti, non il trasporto, non la pubblicità, non la Siae, non la rivendita dei biglietti, non l’assicurazione, non il vitto con menu à la carte né l’alloggio. Semplicemente l’accoglienza che si riduceva ad una bottiglia d’acqua e un po’ di frutta in camerino, una pizza e una bibita dopo lo spettacolo per gli artisti e solo per gli artisti. A nessun altro, dicasi nessun altro, era consentito usufruire di pizze e bibite oltre il numero convenzionato anzitempo con la pizzeria.

In realtà, il Teatro Margherita, reduce da ben altre accoglienze, disponeva di fondi da poter offrire un’accoglienza meno meschinella, solo che per la stagione 2007/2008 aveva a disposizione soltanto 8oo euro poiché tutte le carte e la maggior parte dei fondi erano stati “congelati” per via di un’inchiesta pregressa a carico della precedente gestione. Sugli 800 euro disponibili era da calcolare pure l’IVA. Insomma, le pizze dovevano essere sobrie e non certo in omaggio alla regina Margherita a cui il teatro era intitolato!

La seconda cosa che chiedeva il Brass Group era di esser tenuto in conto per un’eventuale consulenza gratuita o per un gratuito patrocinio in caso di spettacoli musicali da tenersi a Racalmuto e che si collegassero in qualche modo alla musica jazz. Condizione puntualmente disattesa.

In conclusione, solo cinque spettacoli, sui diciotto disponibili, sono stati fruiti dagli spettatori racalmutesi e non, a due dei quali spettacoli ha avuto libero accesso un centinaio di entusiasti studenti delle scuole pubbliche di Racalmuto accompagnati dal prof Domenico Mannella, molto compiaciuto della speciale opportunità offerta ai ragazzi.


“Al signor sindaco, all'assessore alla cultura che non c'è, a quello che verrà (se verrà in tempo utile), al direttore del Teatro Margherita, ai consiglieri tutti, agli amanti della musica: nel 2007 il Comune di Racalmuto aveva stipulato una convenzione con il Brass Group di Palermo secondo la quale avrebbe usufruito gratuitamente in tre anni di ben 18 spettacoli con artisti di livello internazionale.

Come mai e perché, dopo il primo anno, si è lasciata cadere nel vuoto questa importante opportunità a costo zero?

Gli spettacoli della prestigiosa istituzione regionale con sede a Palermo avrebbero integrato e arricchito l'offerta del nostro Teatro, rispondendo tra l'altro alla sua originaria vocazione musicale; avrebbero inserito il Teatro nel circuito promozionale del Brass Group (che non è cosa di poco conto); avrebbero dato la possibilità a più persone di accedere al Teatro Margherita diversificando l'offerta, non potendo ampliare il numero dei posti disponibili o proporre repliche. I rapporti col Brass Group, inoltre, avrebbero dato la possibilità di estendere a Racalmuto la scuola di musica che conta nel capoluogo siciliano oltre trecento iscritti”.


 Piero Carbone
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Requiem per un bosco.

Riceviamo e pubblichiamo


Ogni Racalmutese, la mattina quando si alza, disponendo nella propria casa di un'apertura  che guarda a nordest, non può fare a meno di affacciarsi e guardare in direzione del Monte Castelluccio.  Anche chi non ha questa possibilità, uscito da casa, dalle diverse posizioni panoramiche del paese, fa la stessa cosa. Uno skyline è un panorama ormai acquisito anche incosciamente. Della cartolina che si è formata nel nostro archivio mentale fa parte il polmone verde rappresentato dal bosco demaniale che si estende per più di 200 ettari ai piedi del Monte Castelluccio. Questa mattina, affacciandomi come sempre da casa mia e guardando in quella direzione, ho subito notato che c'era qualcosa di diverso: un'ampia fascia, normalmente di colore verde, era diventata color cenere o meglio si era incenerita. Un film già visto per l'ennesima volta. Del bosco ormai non sta restando praticamente niente. Mi chiedo:  se tutta questa struttura, messa in piedi per gestire il patrimonio ambientale del demanio, non è in grado di farlo, perchè si continua a tenerla? L'Ispettorato delle foreste è pieno zeppo di persone che stanno comodamente sedute in ufficio con tanto di aria condizionata e di privilegi e garanzie di ogni tipo, a fare non si sa che cosa! Migliaia di operai forestali, squadre antincendio, agenti tecnici ecc. che costano milioni di €. Il risultato è il bosco che ripetutamente si incendia. E' una situazione intollerabile, sia economicamente che moralmente. Alla luce di gravi problemi di crisi economica, di stabilità, di precarietà e di disoccupazione, mi chiedo se non sia più produttivo dismettere l’Ispettorato delle foreste e dare in gestione i boschi a Cooperative giovanili, dove possano trovare posto anche gli operai che oggi sono destinati a tali attività. I costi si ridurrebbero dell'80 % e il bosco sarebbe messo definitivamente in sicurezza.

G. Guagliano
Comitato F. L. Matina
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mercoledì 27 giugno 2012

LA Recita virtuale


Durante i festeggiamenti in onore di Maria SS. Del Monte, la recita  La vinuta di la Madonna di lu Munti a Racarmutu nella sua versione dialettale si recita ormai dal 1978, in trentaquattro anni tante ragazze e ragazzi vi hanno preso parte nei diversi ruoli:





Eugenio Gioeni, principe di Castronovo di Sicilia;
Fernando, scudiero del Principe;
Ercole III, conte del Carretto e Signore di Racalmuto;
Ambrogio, uomo di fiducia del Conte;
Arsenio, ambasciatore del Conte;
Giacinto, uomo al servizio del Conte;
Ludovico, ambasciatore del Principe;
Contessa del Carretto;
Damigella particolare della Contessa;
Popolana al seguito della Contessa;
Figlioletto della popolana (solo in alcune edizioni);
Cavalieri;
Damigelle.
Primo e secondo pastore (solo nell’edizione del 1986)

Quell’esperienza di una pubblica recita rischia inevitabilmente di sbiadirsi,  di sparire col trascorrere del tempo,  proprio per questo vorremmo restituirla agli stessi protagonisti che l’hanno vissuta e al pubblico che l’ha condivisa: attraverso una raccolta di fotografie da esporre virtualmente su questo blog e da proiettare durante la festa del Monte.

Invitiamo pertanto tutti coloro che hanno preso parte alla Recita dal 1978 al 2011 di inviare le  loro foto scannerizzate, da pubblicare sul blog e da proiettare a Racalmuto durante la Festa del Monte,  accompagnandole con una breve didascalia: nome e cognome, ruolo ricoperto, anno della Recita. (Chi lo desidera può scrivere anche altre impressioni e personali ricordi)

Inviare al seguente indirizzo:  castrumracalmutodomani@gmail.com
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martedì 26 giugno 2012

Come indiana Jones, alla ricerca del quadro perduto.

Erano anni ormai che la chiesa di Sant’Anna era stata abbandonata,  era diventata luogo di nidificazione per i piccioni.    L’arciprete Don Alfonso Puma  consegnò a mia suocera la chiave della chiesa perché la custodisse e fosse disponibile alla bisogna.   Un caldissimo dopo pranzo di agosto, mi giravo e rigiravo sul materasso di lana, sperando di poter prendere sonno,  quando suonarono il campanello della porta.    Mi precipito al balcone, era  Pietro Tulumello,  accanto a lui il Direttore Di Falco,  due grandi amici.    Quando mi vide  Pietro con la massima disinvoltura mi chiese:  “chi fa ti disturbammu”?  gli feci cenno di aspettare , sono sceso e ho chiesto a cosa fosse dovuta quella bella improvvisata alle tre e mezza del pomeriggio; Pietro mi rispose che gli serviva la chiave della chiesa per fare delle fotografie. Procuratomi la chiave, ritorno da loro e il direttore, conscio della rottura di “cabasisi”, mi lancia affettuosamente un  “chi si dici Robertì”?  Accenno un sorriso.  Giungemmo alla chiesa, salimmo le scale e aprii il portone.    Entrammo,   il tanfo di rinchiuso e la puzza di piccioni morti era insopportabile,  i raggi del sole che filtravano dalle finestre illuminavano il pulviscolo facendo sembrare l’aria sporca,  come tutto del resto, calcinacci ovunque, e soprattutto tanta,  tantissima polvere.   Ci muovevamo con circospezione  temendo potesse crollare tutto;  Pietro si mise a scattare foto,  il direttore cercava particolari degni di essere immortalati,  io li guardavo  un po’ scazzato.  Poi siamo entrati in sagrestia e abbiamo trovato per terra:  vestiari, tanti fogli, libri strappati e quello che ci stupì i registri della canonica.     Il direttore esclamò,  “no, non è possibile”!  Quanta storia in quei registri,  un patrimonio culturale che rischiava di andare perso nel totale abbandono e disinteresse!    Non toccate niente, disse il direttore Di Falco, parlo io con Alfonso (L’arciprete) e faccio sistemare tutto. Tornammo indietro nella navata della chiesa e ci avvicinammo all’altare,   al centro  c’era un grande quadro tenuto appeso da due ganci in alto e due grossi chiodi da fabbro ad uncino in basso , che agganciavano il quadro alla parete.    Si trattava di un quadro votivo  “pittato”  da un dilettante o peggio,   una crosta,  lo definì il direttore Di Falco.  I miei amici ripresero a fotografare, mentre io rimasi incuriosito da quei grossi chiodi da fabbro e mi accorsi di qualcosa di strano…….  gridai  “ nantru ci nè sutta”.   Pietro lasciò perdere di fotografare e venne da me, avvicinò la testa al muro e verificò la presenza  di un altro quadro.   Il direttore,  guardandoci con stupore, disse:  “picciuò sicuri siti”?  Sì,  rispose Pietro,  mentre afferrato il grosso chiodo lo strattonò,  il gesso marcio del muro cedette facilmente e con altri due colpetti,  il chiodo si staccò dal muro.   “Sinnivinni”,  disse il direttore Di Falco,  a quel punto anch’io ripetei le stesse operazioni sull’altro chiodo estirpandolo.  Sollevammo il quadro dal muro facendo perno sulle staffe superiori quanto basta per infilarci la testa e guardare,  il direttore impaziente ci chiese, “chi c’è Picciuò”?  Una bellissima cornice di stucco e oro zecchino, fu la nostra risposta.   Se la cornice è bella,  sentenziò il direttore,  il quadro non può essere da meno.    “Chi faciemmu”? chiese Pietro,  il direttore in qualità di comandante anziano prese la decisione:   “Siemmu ccà, amma vidiri”,  sganciammo il quadro e lo adagiammo a terra.    La cornice era veramente molto bella,  tutta lavorata e luccicante,  ma dentro si vedeva una tela completamente nera.    Decenni di fumo di candele,  polvere e chissà cos’altro si erano depositati su quella tela coprendo il dipinto.    La delusione fu grande,  il direttore Di Falco ci spiegò che potevamo usare delle patate tagliate per pulire la tela, seguimmo il suo consiglio.  Funziona esclamò Pietro!  In poco tempo riuscimmo a pulire una piccola parte del dipinto,  quanto bastava per capire che ci trovavamo davanti a una delle tele di  PIETRO  D’ASARO,  il nostro amato  Monocolo Racalmutensis.   Eravamo davvero emozionati.    Il direttore Di Falco disse che bisognava avvisare immediatamente padre Puma,  ” sannò cù lù senti”, sentenziò.    Uscimmo dalla chiesa e scendemmo in piazzetta.    Da un telefono pubblico Pietro avvisò  Padre Puma della scoperta e che l’aspettavamo in chiesa. Tornammo  davanti a quella tela nera del 1600 commentando euforici la scoperta.   Dopo cinque minuti vedemmo entrare Padre Puma che con passo lesto veniva verso di noi.   Quando ci raggiunse, nemmeno ci salutò,  guardò il quadro e disse: è lui è lui!  Sorrideva,  il nostro carissimo Don  Alfonso,  come se avesse ritrovato un caro vecchio amico.   Domani stesso,  disse, telefono alla sovraintendenza e faccio venire qualcuno,  bisogna restaurarlo al più presto.    Fu di parola l’arciprete Don Alfonso Puma,  il quadro è stato restaurato, oggi si trova sull’altare della chiesa di Sant’Anna dove i cittadini di Racalmuto , possono ammirarne la bellezza.   Sono felice e orgoglioso di essere stato,  assieme all’amico Pietro e soprattutto al nostro comandante  Giovanni Di Falco,  artefice di questa straordinaria avventura.


Roberto Salvo

                                                                                                            


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lunedì 25 giugno 2012

OLTRE LO SCHIAFFO, OLTRE IL DUELLO

Le vicende particolari di Racalmuto e Castronovo di Sicilia si sono incontrate parecchie volte nella storia: nel 1503, a proposito di un sacro simulacro rimasto  miracolosamente a Racalmuto; fra il 1527 e il 1528, per uno schiaffo inferto da Paolo del Carretto, originario di Racalmuto, ad un rappresentante dei Barresi, di Castronovo.

        La prima volta, se ci fu il prodigio, come attestano storici locali (B. Caruselli, N. Tinebra Martorana) e non (G. Traina), ci fu anche il duello - secondo la tradizione orale - a dirimere la questione insorta: Ercole del Carretto, “conte” di Racalmuto, feriva Eugenio Gioeni, principe di Castronovo, e il simulacro della Madonna, oggetto del contendere, rimaneva in terra racalmutese. Correva l’anno 1503 ed il principe Eugenio Gioeni, proveniente dall’Africa dove si era recato per curarsi l’ipocondria, sbarcava a Punta Bianca etc. etc. etc. Di ncapu mari na navi vinìa, / facennu festa e sparannu cannuna. / Ascontra Racarmutu pi la via / vonzi ristari ccà sta gran Signura…

            La seconda volta, sullo spiazzo adiacente la chiesetta di San Pietro che costeggia la strada a scorrimento veloce per Palermo, ha avuto luogo uno dei fatti più sanguinosi nella storia di Sicilia, paragonabile, per efferatezza e teatrali colpi di scena, al “caso di Sciacca”. Don Paolo del Carretto morirà ucciso nell’agguato tesogli dallo schiaffeggiato Barresi. Né la faida si arresterà: altre vendette, altri agguati e altri spargimenti di sangue saranno strascico inevitabile.

            E sono tornate ad incontrarsi, per la terza volta, nel 1986, a Racalmuto,  in occasione della Festa del Monte, per stringere un patto d’amicizia attraverso il simbolico abbraccio dei due rispettivi sindaci. Scopo dell’incontro, il gemellaggio fra i due comuni; la motivazione è semplice:  se le storie dei due paesi si sono intersecate per un diverbio e per una questione d’onore e di puntiglio,  c’è stato di nuovo spazio, nella Storia, per incontrarsi in nome dell’amicizia. Dopo quattro secoli e passa, è vero, ma perché continuare ad essere storicamente  divisi se non persistevano i motivi del rancore di quei “nostri” signori? Chi se ne ricordava più?

            Anzi, a ben riflettere, si può notare che le storie delle due comunità corrono su tracciati invisibili e paralleli, che ora combaciano, ora si allontanano, per confluire di nuovo in episodi di comune storia, di relate passioni, di contrastanti interessi. Storie per certi versi confluenti, analoghe, corrispondenti. Si guardi al carattere “berbero” – lo dico per suggestione del Tinebra Martorana, - forte, tenace, del racalmutese  e del castronovese: così come emerge dalle loro storie, dall’avvicendarsi di mille contingenze. Il Tirrito, nella sua storia di Castronovo, riporta l’ipotizzata derivazione di Crastos, poi Castronuovo, da un etimo greco con significato di “fortissimo”.

            Sui motivi e la genesi che hanno portato a realizzare il gesto del gemellaggio ci stanno innanzi tutto la conoscenza e la simpatia di alcuni amici castronovesi: Totò Mastrangelo, Tonino Ceraolo, Nino Di Chiara, il sindaco Salvatore Tirrito. Il tutto nato, si può dire, da un quasi occasionale colloquio con Totò Mastrangelo. Ma sulla congruità di stringere il pacifico sodalizio si è subito concordato per altre ragioni, oltre che per l’amichevole conoscenza, e cioè per ragioni storiche, culturali, folkloriche: la Festa del Monte appartiene ad entrambe le comunità perché dal loro incontro è nata.

Per ratificare cotanti premesse, la mattina dell’11 luglio 1986, venerdì del Monte, è stata convocata una seduta consiliare straordinaria, aperta al pubblico, durante la quale è stato ufficializzato il gemellaggio, presenti i sindaci e gli amministratori delle due comunità.

            Dopo il simbolico abbraccio dei rispettivi sindaci e lo scambio delle pergamene, per suggellare l’evento, il corteo storico detto  u Triunfu  è stato particolarmente articolato e sontuoso: apriva la processione il drappello rullante dei tammurinara; seguivano: centinaia di giovani con torce e candele della pontificia cereria Gange; i gonfaloni municipali; gli stendardi delle parrocchie, dell’azione cattolica, delle confraternite, dei circoli ricreativi e dei sodalizi, delle altre associazioni religiose e laiche racalmutesi; i bambini della prima comunione in abito bianco, recanti un giglio e l’immagine infiocchettata della Madonna del Monte incollata su un cartoncino, andavano cantilenando la vugliddra la vuglidda la ciancianeddra, / dunni mi vinni, dunni mi vinni sta parrineddra;  bardatissimi cavalieri, disposti ai due lati del corteo, in costumi cinquecenteschi della rinomata sartoria teatrale Pipi di Palermo, porgevano la mano alle damigelle e facevano ala a lu carruozzu, trainato da due ieratici buoi di Cammarata.

Dietro il carroccio, che trasportava il simulacro della Madonna adagiato su un letto di rose, le autorità religiose e civili delle due comunità:  arcipreti e rettore del santuario in cotta e stola, sindaci con la fascia tricolore, marescialli e rappresentanti delle altre forze dell’ordine  in uniforme d’ordinanza, assessori in carica e in pectore, consiglieri, diaconi, collaboratori pastorali, suore dei vari conventi, educande del collegio di Maria, orfanelle del Boccone del Povero, pie signorine di chiesa con il rosario in mano.

In coda, il drappello della delegazione castronovese e il restante popolo racalmutese. Tutti a cantare, tra una posta e l’altra del rosario, Di Trapani affaccià Maria di Gèsu / n coddru li marinara la purtaru / n coddru li marinara la purtaru, mentre piovevano petali e fiori dai balconi adorni di biancheria ricamata e vellutate coperte di sciniglia. La banda suonava. Le percussioni dei tamburi grandinavano. Quando la testa del corteo giunse in Piazza Carmelo, s’udì un frenetico scampanio mentre gli ultimi fedeli uscivano dalla chiesa del Monte e chiudevano la chilometrica processione, cingendo idealmente il paese con un sinuoso abbraccio. Sarebbero dovuti arrivare cavalli e cavallerizzi danzanti dalla Festa del Taratatà di Casteltermini, ma per motivi organizzativi non è stato possibile. Ci si accontentò delle cavalcature locali.

Si vuole precisare che la festa del Monte non è la festa dei cavalli o per i cavalli anche se ne fanno strutturalmente parte in quanto attraverso muli e cavalli, connaturati alla società contadina, si trasportavano le prummisioni di grano e altri cereali fin dentro la chiesa dopo la devozionale acchianàta e si rendevano solenni: il triunfu del venerdì; la sfilata del sabato fino  a la pigliàta di lu Ciliu, distribuendo ceci abbrustoliti;  la processione della domenica, sferragliando sui basoli, che sprizzavano scintille, addobbati con coloratissime bardature, ciondolanti nappe, campanacci e drappi d’epoca, dietro il solenne carro a forma di nave.

Solennità sì, ma a precise condizioni, e lontani mille miglia da certi teatrini che sarebbero venuti dopo, alludendo a quegli improvvisati quanto pericolosi caroselli equestri tra la folla che poco hanno a che fare con la devozione e molto con il vacuo e talvolta impudico esibizionismo, somiglianti più a un rodeo argentino che a una nostrana processione religiosa.

Quando, alla fine degli  Anni Settanta, la gloriosa Pro Loco capitanata da Giovanna Lauricella si prodigò per  rimpolpare la festa con la partecipazione  di cavalli bardati e cavalieri in costumi d’epoca, visto che i preziosi quadrupedi in paese si erano ridotti al lumicino vuoi perché soppiantati dai mezzi agricoli vuoi per l’emigrazione dei contadini e dei carrettieri, si addivenne alla risoluzione di noleggiare un determinato numero di cavalli regolarmente assicurati. In questo modo il Conte del Carretto e il suo seguito poterono continuare ad arrivare a cavallo sul luogo della “Recita”. Così è stato anche in quella del 1986.

Quell’anno, la Recita, che ricostruisce l’episodio della “venuta” della statua della Madonna a Racalmuto, registrò  alcune modifiche e integrazioni: la Contessa, la cui presenza era stata inserita qualche anno avanti da un giovane poeta locale, venne condotta in portantina da quattro prestanti giovanotti detti vastàsi, un termine di origine greca che rimanda al verbo trasportare; il Principe Eugenio Gioeni e i suoi scudieri sono stati interpretati da giovani attori castronovesi; Recita e corteo storico sarebbero stati riproposti qualche anno dopo a Castronovo. Anche la mostra fotografica di un naturalista racalmutese, sulla flora e la fauna della montagna castronovese, ha seguito la trasferta della Recita  e arricchito il dialogo culturale tra racalmutesi e castronovesi. Il gemellaggio insomma è stato un avvenimento memorabile oltreché significativo.

Significativo è ancora oggi, a distanza di ventisei anni; rincuorante, trovare nel passato di un paese ciò che si vorrebbe trovare nel suo deprimente presente, per risollevarlo: segni di violenza trasmutati in segni di festosa amicizia collettiva e corale fede; prassi di violenza convertite in pratiche di simbolica pace e laboriosa convivenza civile; storiche malerbe e malsane zizzanie rimpiazzate da più commestibili alimenti di festevole pasticceria.

E’ con questa pronuba “filosofia”, foriera di prospero e pacifico futuro, che probabilmente vale la pena di ricordare schiaffi e duelli del passato, come quelli intercorsi tra il nostro e un altro paese del palermitano.

                                                                                              Piero Carbone




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domenica 24 giugno 2012

CALDO: BAMBINI E ANZIANI A RISCHIO


I CONSIGLI DEL PEDIATRA - Evitare le ore piu' calde per l'uscita o per andare al mare, vestire i piccoli 'a cipolla', coprire loro la testa con cappellini e farli bere molto e fargli consumare pasti leggeri: sono questi alcuni dei consigli dei pediatri per proteggere i bambini dal caldo e dai picchi di calore.

''La prima regola e' quella di fuggire il caldo nelle ore in cui il sole e' a picco, come quelle centrali della giornata. Poi, molto importante e' il modo in cui vestirli. Poiche' il loro sistema di termoregolazione e' ancora immaturo, bisogna svestirli negli ambienti molto caldi, man mano che aumenta la temperatura. Una regola che vale in particolare per i lattanti e fino a 2-3 anni''.

Bisogna pero' ugualmente stare attenti agli ambienti con l'aria condizionata forte, come ad esempio i supermercati e i reparti con il banco frigo. ''In questo caso e' bene coprirli un po' di piu' e, in linea generale, evitare gli sbalzi termici da ambienti troppo freddi a troppo caldi. L'accortezza e' di vestire i bambini a cipolla, in modo da poterli coprire e scoprire a seconda delle necessita'''. Altra regola e' quella di far bere molto i bambini, perche' hanno difficolta' a mantenere una corretta idratazione.

''Quando sulla pelle del bambino compaiono quei puntini bianchi o rossi, noti come miliaria  e' un segno che si stanno disperdendo liquidi. Quando e' caldo-umido come in questi giorni, il rischio e' di un colpo di calore o di sole. I sintomi sono nausea, cefalea, vomito, ottundimento, anche febbre. In questi casi, soprattutto per i bambini piu' piccoli, e' meglio recarsi dal medico per valutare l'idratazione''.

Infine e' bene non fare troppa attivita' fisica sotto il sole, evitare cibi con grassi animali, come latte e uova, ma prediligere frutta, verdura, succhi e gelati a base d'acqua. ''E poi usare cappellini di cotone bianchi o verdi e protezioni solari, almeno i primi giorni in cui si sta all'aperto''.

I CONSIGLI PER GLI ANZIANI - Molti di questi consigli valgono anche per le persone di una certa eta'. Utile e' anche arieggiare l'ambiente dove si vive, anche utilizzando un ventilatore. Necessario poi bere molti liquidi, almeno un litro e mezzo al giorno, per reintegrare le perdite quotidiane di sali minerali mentre sono da evitare le bevande alcoliche, gassate, troppo zuccherate o troppo fredde, mentre non bisogna eccedere con caffe' o te'.

Consumare pasti leggeri evitando fritti, grassi e cibi piccanti. Ripararsi il capo dal sole e in caso di mal di testa dopo una prolungata esposizione al sole fare impacchi con acqua fresca per abbassare la temperatura corporea indossare abiti leggeri e consultare sempre il medico se soffrite di ipertensione.

Non sostate in automobili ferme al sole e, possibilmente, andare in vacanza in localita' collinari e termali. Infine un appello ai familiari: "non abbandonate a loro stessi gli anziani. Fate per loro la spesa, comprate i medicinali, verificate costantemente se hanno bisogno di qualcosa". 
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sabato 23 giugno 2012

LE RICETTE DI RURU' - "LU PIPITINCHIU"


Piatto tipicamente estivo, “potage di verdure” in alcuni paesi, ci sembrava eccessivo chiamarlo in questo modo. Abbiamo preferito dargli il suo antico nome originale racalmutese.


Ingredienti:

Peperoni
Melanzane
Patate
Cipolle
Passata di pomodoro
Basilico
Olio extravergine di oliva
Pepe
Sale


Mettere in un tegame dell'olio extravergine di oliva,  aggiungere la cipolla affettata, le patate e le melamzane  a tocchetti, i peperoni tagliati a listerelle e soffriggere a fuoco medio mescolando di tanto in tanto. Aggiungere la passata di pomodoro, l'acqua, il sale, il pepe e terminare la cottura a fuoco lento per circa mezz'ora. Il “pipitinchiu” non deve risultare nè troppo liquido nè troppo denso. Prima di spegnere il fuoco aggiungere le foglie di basilico.


E........BUON APPETITO DA RURU'



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venerdì 22 giugno 2012

CONSIDERAZIONE E CONSTATAZIONE


E’ strano che, periodicamente, senta il bisogno di fare chiarezza, quasi come rimettere ogni cosa al proprio posto. Non mi era mai successo. Capita adesso, quando mi affaccio inesorabilmente ai 60 anni e quando la mia “racalmutesità” prorompe dal mio interno e mi porta alla decisione di scrivere in un blog, scrivere di Racalmuto  per affermare una passione e, allo stesso tempo, una rabbia. L’inizio non è dei più semplici; c’è da vincere la diffidenza dei compaesani, convinti, forse, che la mia iniziativa possa essere un modo come un altro per propagandare un nome, il mio, una figura, la mia. Poi c’è da vincere i sospetti di altre espressioni, presenti da più tempo nella rete o sulla carta stampata. Niente di più sbagliato, la mia è una visione che prescinde da conflitti e vuole porsi come alternativa per un sereno dialogo. Figurando l’idea direi: una stanza con dei divani, poltrone, sedie, dove la gente si incontra, discute pacatamente e civilmente e, confrontandosi, cerca di costruire concretamente idee da tradurre in azioni che possano portare benefici al paese. Direte: “niente di più semplice….” Non è così. Oltre quelli pacati, sono stati inviati commenti tendenti, esclusivamente, a creare scontri, polemiche. Il blog ha sempre seguito una linea coerente e così farà per tutto il futuro che ogni singolo racalmutese intenderà destinargli. La paura che questo strumento possa servire come preparazione a future candidature politiche, noto amaramente, è tanta, anche se, in più occasioni, ho tranquillizzato i contendenti e gli aspiranti, dichiarati e non. Ci dispiace constatare che fino a quando persisterà questa mentalità, difficilmente Racalmuto potrà risorgere, adesso e tra diciotto mesi. Infine, ai denigratori: “si brilla di luce propria, non di luce riflessa, non oscurando tutte le altre luci”.


Racalmutese Fiero
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giovedì 21 giugno 2012

UOMINI DAL TENACE CONCETTO


Il 20 maggio 1887 a Racalmuto è nato Ottorino Maggiore; chi lo conosce? In questo paese non c’è niente che ci conduca a lui. Volendo approfondire la ricerca su Ottorino, andiamo a sbattere in un mondo fatto di massoneria  buona, cattiva, garibaldina di buona fede e non. Andiamo ad incontrare un periodo storico nel quale il paese, Racalmuto, pullulava di preti e notai.

I primi scampavano, per la maggior parte, la fame. I secondi gestivano l’immenso patrimonio immobiliare che si spostava in continuazione da un padrone  all’altro. Il latifondo che si andava sminuzzando e le partecipazioni minerarie che si moltiplicavano.

Era il tempo in cui la mania dello zolfo vide proliferare gabelle di ogni genere; erano queste autorizzazioni allo sfruttamento del sottosuolo concesse da privati a privati quando il diritto sulla proprietà si estendeva anche al sottosuolo, fin dove si poteva arrivare. L’Eldorado dei paesi del sud: “lo zolfo”.

Ottorino nasce a Racalmuto e cresce con sotto gli occhi un paesaggio cangiante, ad ogni ora del giorno, ammaliante, che, a volte, stordisce anche. La valle, i piccoli monti, promontori incastonati in una natura incantevole, le acque sorgive alle fontane trasmettevano il senso della vita. Un uomo modesto come lui ha tutto il tempo per assaporare il gusto della vita che dalla terra emana.

Fu massone, a viso aperto, osservante a pieno titolo delle logiche massonico-filantropiche. Corse a Messina nel 1908, aiutò i terremotati e si ammalò di tifo, contagiò la madre, Giuseppina Mannone che ne morì. Volle partecipare alla prima guerra d’indipendenza, in prima linea ed assunse il grado di colonnello e nel pieno periodo fascista, fuggendo senza nascondersi, fece la sua parte nel compimento della storia d’Italia.

Di lui scrive, a ricordo, Virgilio Gaito che lascia trapelare con coscienza l’amore ed il rispetto per un uomo dal tenace concetto, figlio d’altri tempi, di questa terra di Racalmuto.


                                                                                                         Carmelo Mulè
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mercoledì 20 giugno 2012

SE C’E’ ACQUA C’E’ VITA.

QUI  LO DICO E QUI  LO NEGO.   

Un giorno mi trovavo in sala lettura al circolo, tra i giornali sul tavolo intravedo la fotocopia della prima pagina del Giornale di Sicilia, a caratteri cubitali c’èra scritto:  “A NATALE,  ACQUA  NELLE CASE DEI CITTADINI SICILIANI”. Incuriosito  leggo l’articolo, c’era scritto che la Regione Siciliana, aveva definitivamente risolto l’annoso problema della carenza d’acqua, i provvedimenti eccezionali in avvio avrebbero permesso a partire dal prossimo Santo Natale, di portare nelle case dei cittadini siciliani l’acqua tutti i giorni.    Ero sbalordito, la notizia non era una bomba, ma una super bomba termonucleare di potenza inaudita.   Ho avuto però, la netta sensazione che qualcosa non andava. Infatti, guardando bene, mi accorgo che era la prima pagina del Giornale di Sicilia, ma di venticinque anni fa, qualche buontempone l’aveva messa tra i giornali. La cosa tragica,  la pugnalata al cuore è che se quell’articolo avesse riportato la data di quel giorno, sarebbe stato perfettamente coerente con la situazione attuale. Oggi se guardiamo il nostro paese dall’alto, vediamo che accanto ad ogni antenna televisiva è stata installata una grossa bonza di plastica di colore grigio o blu cobalto. Una visione deprimente, vecchie tegole di terracotta meravigliosamente invecchiate con sopra l’abominevole bonza cobalto, un pugno allo stomaco, un vero schifo. D’altronde i cittadini devono pur approvvigionarsi di acqua, dal momento che l’erogazione idrica avviene oramai con tempi biblici. Sono ormai decenni che l’uomo ha messo piede sulla luna, si pensa fra qualche anno di fare lo stesso con marte, ma nessuna tecnologia attualmente conosciuta dall’uomo è in grado di fare arrivare l’acqua nelle case dei siciliani. Sembra, ma la notizia non è ancora stata confermata, che al centro Ettore Majorana di Erice, un illustre scienziato ”TurcoNapoletano”  ha spiegato che, forse, solo quando avremo la tecnologia del teletrasporto il problema si potrà considerare risolto, dal momento che il trasporto di acqua mediante tubature, in Sicilia è “politicotecnologicamente “ impossibile.


Roberto Salvo 








   

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martedì 19 giugno 2012

Lu cahè



Alla ricerca di informatori

Non dissi a mio suocero, che usciva molto presto la mattina, che sarei andato a Racalmuto. Non pensavo che avrei dovuto far tesoro, per le mie inchieste, di sue eventuali conoscenze.
Giunsi nel piccolo centro a un’ora discreta del mattino. Dovevano essere le dieci. Ricordo il sole già alto nel cielo intenso d’azzurro, e il suo riverbero accecante sulla pietra bianca della chiesa madre, la piazza ampia dove avevo parcheggiato la macchina, il torrione smozzicato da un lato e dall’altro la scalinata del Carmine con plaghe d’ombra.
La piazza. Era lì – pensavo –  che avrei dovuto trovare miei informatori.
Tre amici discutevano tra loro nel sole. Mi sembrarono subito le persone giuste. Furono gentilissimi. Volentieri avrebbero partecipato all’inchiesta, ma stavano per andar via. Perché non andare da quei vecchietti seduti al fresco su per i larghi gradini della scalinata della Madonna del Monte?
Il consiglio fu splendido e lo seguii subito.
Di lì a qualche minuto mi trovai di fronte a un’altera figura di zolfataro in pensione. Era seduto al fresco, immerso nei suoi pensieri, teneva in mano un bastone in modo quasi ieratico, mentre un’antica consapevole fierezza gli sprizzava dagli occhi azzurri, ora a me attenti, accentuata dalla sua posizione centrale sul largo gradino.
Chi meglio di lui?

Non sapemu nenti!

Rispose cortesemente al mio saluto, ma non restò convinto dal fatto che qualcuno, il ragazzotto che potevo allora sembrare, spacciandosi per un professore universitario, potesse avere interesse nientemeno che per il dialetto. Furono questi i pensieri che gli frullarono in testa nel baleno che guizzò nei suoi occhi e nella risposta con la quale scoraggiò immediatamente la continuazione del dialogo.
Che mi rivolgessi al vicepresidente del Circolo che era lì a due passi, peraltro incuriosito dalla mia presenza e ormai pure lui sul chivalà.
Lo feci, mi rivolsi a lui, ma mi disse a sua volta di rivolgermi al presidente, anche lui attento all’insolito estraneo, dall’interno del circolo. Il presidente non poté rimandarmi a nessun Erode o Pilato e con un secco Non sapemu nenti! inibì ogni possibilità di conversazione.
Inutile far presente che provenivo da Castrofilippo, che mio suocero era di Castrofilippo e che volevo solo conoscere parole dialettali. La sua risposta non ammetteva replica.
Che fare?
Demordere no!
Mi restava l’alternativa del parroco, la speranza che questi fosse originario del luogo e che fosse disposto ad ascoltarmi.
Tornai in piazza ed entrai nella chiesa che era ancora aperta. Il prete era del luogo. L’Arciprete, padre Alfonso Puma – un intellettuale seppi poi, un raffinato pittore, amico di Sciascia – capì subito quel che volevo e si mise a disposizione.
Ne fui felice.
Ma fu felicità che durò poco. Di lì a mezzora padre Puma mi disse che, suo malgrado, avremmo dovuto interrompere l’inchiesta per un suo impegno. Un funerale, mi sembrò di capire.
Gli dissi che avrei aspettato che finisse la funzione e che, comunque,  sarei potuto tornare nel pomeriggio, l’indomani e poi ancora negli altri giorni della settimana.
Dispiaciuto, mi disse che non gli era possibile incontrarmi prima di una decina di giorni, non ricordo per quale suo impegno in curia, ad Agrigento.

L’incontro risolutore
Ero davvero rammaricato e stavo per salutare ed andare via, quando vidi brillare d’un sorriso il faccione abbronzato del sacerdote per l’ingresso di un signore in sacrestia. Me lo presentò subito. Un avvocato del luogo e anche… l’assessore alla cultura del Comune.
Nessuno meglio di lui per accedere alla simpatia dei racalmutesi, pensai. Ed era quello che aveva già pensato l’Arciprete.
Il passaggio di consegne fu immediato e poco dopo mi ritrovai sulla strada in direzione della scala dei vecchietti e, inspiegabilmente, a braccetto dell’assessore. Mi rifiutai di tornare dai nostri vecchietti, raccontando all’assessore dell’incontro poco felice di qualche ora prima.
E l’assessore affabilmente, ma fermamente:
– Professore, Lei vuole fare l’inchiesta?
Una domanda retorica che mise subito a tacere il mio orgoglio.
Giunti di fronte ai vecchietti – altri se ne erano adunati attorno a quello con gli occhi azzurri –, mi ritrovai con la mano dell’assessore sulla spalla che mi presentò dicendo:
– Questo è amico mio. Parlate pure!
La sua strategia, a braccetto prima e poi con la mano sulla mia spalla, mi fu subito chiara.
Parlammo, parlammo a lungo. Esaurii in più giorni i questionari del Vocabolario Siciliano. E il vecchietto dagli occhi azzurri sostenne con gioia e fino alla fine la conversazione.
Diventammo amici. Mi chiese dove abitassi – forse nella stessa Racalmuto, pensava, visto che tornavo due volte al giorno e per più giorni. Fu felice di sapermi a Castrofilippo, dove conosceva tante persone.

Li favi e la farrubba

Proprio l’ultimo giorno, quando il sole picchiava sulla scalinata del Monte e stavo per andare via, mi accorsi di una domanda non fatta: le fave, come chiamate le fave a Racalmuto?
La domanda la posi per scrupolo. Che risultato avrei potuto aspettarmi?
E il vecchietto mi rispose: – Li favi.
Subito dopo, PERò, mentre un lampo geniale gli guizzava negli occhi:
– Ma lo sa che al quartiere Carmine si dice li havi?
Fortuna che l’ora era ancora buona e potei correre subito al Carmine, dove non incontrai informatori disponibili, ma uno studente dell’università di Palermo, Piero Carbone, ora raffinato poeta in dialetto, che subito e poi anche nel pomeriggio mi accompagnò in giro, a sentire la gente parlare.
Non trovammo subito li havi, ma qualcuno volle però offrirci lu cahè e ascoltammo tutte le persone che potemmo per la via centrale e per i bar con l’impressione che la gente ci mettesse poco forza nell’articolare la f, in qualsiasi posizione.
Poi, prima di rientrare a Castrofilippo, entrai nella farmacia locale, per comprare i pannolini al mio bambino.
Qui, un vecchio rinsecchito dal sole, mostrava nello sguardo la sospensione di un dialogo già avviato con la farmacista. Infatti, quando questa tornò al banco, porgendogli il piccolo involto, gli raccomandò con voce suadente:
– Se le deve fare le iniezioni, se le deve fare, se vuole guarire!
E lui, di rimando, sicuramente convinto dall’esortazione della farmacista:
Mmah!… Ca si mi l’à-hhari mi li hazzu! Mah!… che se me l’ho a fare, me le faccio!
Non disse più nulla, ma fu per me quella risposta la testimonianza più bella, la prova più stringente di quel suono: l’h invece dell’f. Più ancora del cahè degustato qualche ora prima.
Comunicai a Piero Carbone il mio ritorno a Racalmuto per l’indomani e approntai nella notte un questionario specifico.
Incontrammo – l’indomani – una persona di cui serbo grata la memoria, il prof. Nicolò Macaluso, insegnante elementare in pensione, che ci portò a casa e collaborò attivamente all’inchiesta, insieme alla moglie, pure lei maestra in pensione. Conoscevano bene quella pronuncia e ne facevano uso.


Conclusioni dello studioso

Raccolti tutti i materiali possibili, mi era ormai chiaro che a Racalmuto la doppia pronuncia harrubba/farrubba era il diverso modo di di adattare l’ar. h a r r ū b: varianti fonetiche che non escludono, nell’area, il tradizionale e più diffuso carrubba: tre pronunce che in tempi diversi si sono contese la palma della popolarità, salendo e scendendo sul podio dell’uso varie volte. Come avviene ancora a Pantelleria, dove le tre pronunce hanno rilevanza sociolinguistica.
La stessa cosa è avvenuta a Ragusa – da lì eravamo partiti –  dove si sono contese il campo forme con f e forme con k. Da disapprovare le forme con f perché sentite come contadinesche. Al punto che anche fasola con f etimologico poté diventare casola.
Il problema di Ragusa si era  risolto a Racalmuto. E grande fu il merito del vecchietto racalmutese dagli occhi azzurri, che non ebbi più modo di ringraziare.
Dopo qualche anno, a un incontro culturale a Racalmuto, ho potuto raccontare l’intera vicenda. Il caro vecchietto non c’era.
E l’f per k, oltre che h, non è solo la risposta siciliana alle parole dell’arabo che presentano un suono per così dire “aspirato” (ma fricativo velare o postvelare in realtà), ma anche a parole bizantine, del francese antico e dell’inglese d’America con analoghi suoni, come poi ebbi modo di illustrare in un lavoro che vide la luce nel 1995, sul num. 18 del “Bollettino del Centro di Studi filologici e linguistici siciliani” (pp. 279-93): un fenomeno che è molto più di “un’alterazione seriore e meno avvertita” come aveva scritto più di un secolo prima Corrado Avolio, se di esso bisogna tener conto – la letteratura non è avara – nello studiare il contatto delle lingue romanze con altri sistemi linguistici.

                                                                                         Salvatore C. Trovato (Università di Catania)

Il post, riveduto dallo stesso autore e adattato a un pubblico non specialista è pubblicato nella sua redazione originaria nel vol. Per i linguisti del nuovo millennio. Scritti in onore di Giovanni Ruffino a cura del Gruppo di ricerca dell’Atlante Linguistico della Sicilia,  Palermo, Sellerio, 2011, pp. 93-99. Nuova è la titolazione e la stessa paragrafazione.




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