Negli anni sessanta/settanta, la
vita era diversa in confronto ad oggi; poche cose, rispetto, o meglio timore
dei genitori, grandi valori.
A Racalmuto, accanto la casa di “Dolluminatu”, in via Baronessa
Tulumello, c’era la “putìa di Mastru Masi”, un
negozio di scarpe, forse il più
importante di Racalmuto e dei paesi vicini. A gestire l’attività, due fratelli, Masinu e Lillo, quest’ultimo timido,
compìto nei movimenti, quasi
dipendente dal fratello, con una
vaga somiglianza ad Enzo Tortora da giovane. Masinu era , invece, asimmetrico
ma sincronizzato nei movimenti, la natura non era stata benevola con
lui.
A quei tempi, un ragazzino come
me, poteva permettersi, al massimo, due paia di scarpe l’anno e, magari uno, da
usare solo la domenica e le feste comandate.
Mio padre, essendo stato anche
compagno di scuola di Masinu, preferiva acquistare dagli Alessi – così facevano
di cognome i due fratelli – le scarpe per il sottoscritto e per il resto della
famiglia.
Ci recavamo da Mastru Masi normalmente
il pomeriggio, all’apertura. Il negozio mostrava, prima dell’ingresso, due
vetrine, una più grande a destra, con scarpe da donna in mostra e una più
piccola, non sporgente, a sinistra, con calzature da uomo. All’interno, un
locale ampio, con scaffalature alle pareti piene di scatole di scarpe. A
sinistra entrando, un bancone con un ripiano in cuoio, a destra, l’angolo
per la prova, con sgabelli e tappeti di
stoffa a terra per evitare di sporcare la suola delle calzature. Di fronte
all’ingresso, un’apertura che faceva intendere un retrobottega, usato come
magazzino.
Entravamo in negozio e
salutavamo. Masinu, poco incline al
sorriso, rispondeva serio ma educatamente. Lillo, invece, stando in piedi dietro il bancone, abbozzava
un sorriso timido.
Si preferiva, non so perché,
rivolgersi a Masinu, forse era quello più attivo o quello che andava incontro
ai clienti.
Da questo momento era come se io non esistessi, la discussione si stabiliva tra
mio padre e Masinu , che chiedeva
preferenze di colore, numero e modello, allacciate o mocassini. Mio
padre elencava ciò che lui aveva deciso e Masinu , con il capo chinato
di sbieco da un lato, sguardo di traverso, che attraversava un paio di occhiali
posti a metà naso e la fronte aggrottata, stava ad ascoltare, prima di
dirigersi dietro l’apertura in fondo.
Non ho ancora capito perché le
scarpe non venissero mai prese dagli scaffali alle pareti, tanto che, da
grande, ho sospettato che quelle scatole fossero vuote.
Tornava dopo un po’, reggendo in
equilibrio una pila di scatole che
poggiava sul bancone e apriva per tirarne fuori le scarpe. Non ho mai più visto
colori marrone così, per dare un’idea e usando un termine racalmutese, oserei
dire che fossero “cirricaca” – evito
di specificare il significato del termine – Masinu prendeva una scarpa, la
piegava inverosimilmente, facendo combaciare punta e tallone ed esclamava: “guarda come sono morbide, Fofò, capretto,
capretto! “
A scegliere le scarpe che dovessi
provare era sempre e solo mio padre. Si decideva di farmi calzare la destra –
il piede è più gonfio rispetto al sinistro -
e mi si faceva alzare dallo sgabello e articolare due passi.
Dopo aver provato quattro/cinque
scarpe, Masinu stabiliva, nella sua mente, da negoziante esperiente, se il
cliente fosse propenso a comprare o meno. Se dava a se stesso una risposta
negativa, tentava un’ultima carta , afferrava una scarpa infilando indice e medio nel tallone, pollice a lato,
esternamente, la sbatteva energicamente sul bancone, la girava per mostrare il
marchio, ed esclamava: “ vero cuoio, Fofò, vero cuoio! “
dopodichè, con fare stizzito, infilava le scarpe nelle scatole, dopo aver
strofinato la suola, con movimento meccanico, sulla manica, le richiudeva e si
allontanava con la pila in equilibrio verso il retrobottega.
Se invece, secondo il suo
giudizio, la vendita era destinata a buon fine, allora si lasciava sfuggire un
sorriso forzato e si passava alla contrattazione.
Era la fase più estenuante,
Masinu diceva un prezzo, mio padre rispondeva perfettamente la metà.
Il metro del prezzo giusto,
veniva dato da uno stratagemma che il cliente adottava e al quale il negoziante si adattava. Ovvero,
non trovando un punto di incontro, mio padre diceva: “ nenti Masi’, nantra vota, si vidi ca nun iera jiurnata “ e
uscivamo.
Se Masinu ci chiamava (o meglio,
chiamava mio padre), allora si contrattava un altro po’, ma per un arco di
tempo più breve rispetto al primo e si arrivava all’accordo; mio padre dicendo:
“ Masinu, stavota ci guadagnasti tu “
e Masinu di rimando: “Fofò, ci persi
ammèci”.
Se, invece, Masinu non ci
chiamava, erano guai, si rientrava in negozio, si chiedeva se, aggiungendo
qualcosa, si potesse avere il paio di scarpe e non sempre si riusciva a
spuntarla.
Adesso Mastru Masi, i due
fratelli, Lillo (qualcuno mi dice si
chiamasse anche Cristoforo) e Masinu sono morti, il negozio è chiuso ed è un
altro pezzo di Racalmuto che non c’è più.
Racalmutese Fiero
Tutte le scene, tutti i personaggi, sono davanti ai miei occhi. Racalmuto perde le cose belle per lasciar posto alle brutture.
RispondiEliminaMaria
Li avevo dimenticati. Grazie per acerli riportati alla memoria.
RispondiEliminaGiuseppe
Io Mastru Masi me lo ricordo più invecchiato rispetto alla foto, anch'io sono cresciuta calzando le loro scarpe e sicuramente faranno parte dei miei ricordi per sempre.
RispondiEliminagiusi
Manco dal paese da tanto tempo, troppo direi. Mastru Masi, nella mia mente, sarebbe dovuto essere sempre lì. Ma il tempo passa e non è così. Tanti ricordi, un pizzico di tristezza e una buona dose di nostalgia.
RispondiEliminaPippo
I ricordi mi inondano e mi riportano indietro nel tempo con molto piacere ed anche qualche lacrima... sarà l'età! Complimenti! RS
RispondiElimina....credetemi, non è solamente un pezzo di racalmuto che se ne è andato, ma è un pezzo di mondo con tutta la sua ricchezza d'animo che se ne è andato,...........usa e getta!
RispondiEliminaBellissima la descrizione dell'articolo, ricordo bene i fratelli Alessi,....ho vissuto quelle immagini! bravo l'autore!
Carmelo Rizzo!
Bello sgattaiolare sul PC e leggere un articolo così bello che mi ha riportato all'adolescenza.
RispondiEliminaLeggendo ho sentito l'odore forte del cuoio che persisteva in quel negozio dove a comprare le scarpe non erano solo i racalmutesi, ma clienti provenienti da tutti i paesi limitrofi.
Simbolo di una Racalmuto di un tempo, che mai avremmo immaginato "scalza".
Un pezzo che meriterebbe uno spazio più autorevole, scritto bene, ricco di precisi dettagli. Ricordi semplici che emozionano.
Una bella fotografia di una Racalmuto che conserviamo nel cuore.
Descrizioni precise e commoventi, proprio come gli effetti di una vecchia istantanea....Grazie per questo bel Reframe!! Giovanni Salvo
Lu zi Tommasino, aveva una scatoletta simmental magica. Quando la muoveva emetteva il muggito della mucca. Lo pregavo in ginocchio per averla, ma niente, è rimasta uno dei miei più grandi desideri di bambino. La mattina presto si poteva incontrare Tommasino alla pescheria,poi in negozio sino alla pausa pranzo, poi di nuovo in bottega sino alla chiusura. Una specie di ergastolo a piede libero. Lo ricordo con piacere.
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