La festa del Monte è
già alle spalle. Tra discussioni,
dibattiti, confronti, le tradizioni sono state conservate. Qualcuno mi
riferisce: “non è più la stessa festa,
tutto è cambiato….” Anche le tradizioni, quindi, si adeguano ai tempi. Una
volta era impensabile che “l’acchianata cu lu cavaddu”, venisse
fatta da bambini o donne. Le
appartenenti al sesso femminile portavano, di solito, “li prummisioni” in perfetto
equilibrio sulla testa. E qui non c’entra il femminismo o la parità dei diritti
tra uomo e donna. La tradizione era così, così veniva tramandata. Il carrello che ha trasportato “lu
ciliu di li burgisi” è stato messo a
norma, perfettamente omologato per circolare su strada. Una volta “lu ciliu” veniva portato dai “facchini”; lu ciliu davanti e un carro
che trasportava una botte di vino, dietro. Si comprende benissimo che la
stabilità, dopo un po’, veniva compromessa.
Allora si decise di metterlo in sicurezza e disporlo su un carrello. Della
costruzione, a proprie spese, se ne occupò “lu
zi Tanu Sferrazza”. Di recente, si è pensato di deporre il cilio dal
carrello di “lu zi Tanu” già in
sicurezza, per disporlo su un altro carrello omologato per circolare su strada,
ma non omologato per il trasporto del cilio. Questo aspetto così poco chiaro e complicato ha impegnato, non poco,
il sottoscritto e l’amico Ignazio Scimè, cercando di sciogliere l’arcano. Qualcosa è stata cancellata dalla Festa, non
c’erano abbastanza fondi, il Comitato festeggiamenti ha dovuto fare delle
scelte. Però, tutto sommato, poche cose sono state sacrificate o poche persone se ne sono accorte. Sì, perché
per tutti quelli che non sanno, le cose non sono state fatte senza regole. C’è
stato, come ogni anno, del resto, un Comitato che si è assunto l’onere e l’onore
di organizzare i festeggiamenti in onore di Maria SS. Del Monte, Regina di
Racalmuto. Tutto, alla fine, è andato bene. Finita la Festa, si torna alla
normale vita di tutti i giorni e ci si confronta con i problemi quotidiani,
accantonati per l’occasione. Ieri avete
letto un toccante articolo di Roberto Salvo: “LU DEBITU BABBU”. Tratta aspetti sconcertanti di quello che fu lo
sfruttamento e il maltrattamento dei minori in un recente passato. Sono fatti
che non tutti conoscono o chi ne ha memoria, probabilmente non ne parla, per
non far affiorare alla mente ricordi orribili o per timore di venire scambiato
per millantatore. Resta, innegabilmente il fatto che poco o niente si è fatto.
Racalmuto è stato un paese che ha fondato la sua economia sull’estrazione del
sale e dello zolfo. Un paese di agricoltori ma anche di salinai e zolfatai.
Quasi ogni famiglia ha dato un amaro tributo all’economia del paese. Un padre,
un marito, un fratello, un figlio, sono state vittime in quelle oscure gallerie
illuminate, solamente, dalla fioca luce delle citalene. Ma ancor più
raccapricciante è il fatto che a perdere la vita in quegli angusti cunicoli,
siano stati tanti “carusi”, morti
anche, per i maltrattamenti subiti. La nostra coscienza ci impone di fare
qualcosa. Non possiamo rimanere inermi e non dobbiamo dimenticare quello che è
accaduto anche nelle nostre miniere. Bisogna portare a conoscenza nelle scuole,
con testimonianze, non solo la vita dei
minatori, ma anche la barbarie che si è perpetrata in quei luoghi. Sarebbe
opportuno organizzare delle conferenze, la Fondazione potrebbe ospitarle. Occorre dare un giusto spazio a quella che è
stata la vita di questi nostri fratelli, figli, dedicando loro un museo che
possa raccogliere reperti e quant’altro serva a testimoniare un passato. Il
Castello Chiaramontano, o altra sede che le Autorità competenti potranno
individuare, siano uno spazio idoneo dove custodire tutto il materiale che
attesti una “memoria”. La voce del Dr Galeani, in occasione dei
festeggiamenti, si è fatta sentire, parlando ai cittadini ha detto: “venite a trovarci, siamo aperti al
dialogo, alle vostre proposte” Che tutto ciò sia di stimolo per tutti i
cittadini racalmutesi e che li spinga a sostenere la nascita del museo e che li
convinca a
donare testimonianze concrete di una vita dura e, a volte, prematuramente spezzata, materiale già in possesso di tanti racalmutesi, che
potrebbe trovare il giusto risalto. Racalmuto non può rimanere insensibile
verso questi figli. Sia data la dignità
che purtroppo è stata loro negata e il rispetto di uomini che non hanno avuto
tempo di guadagnarsi. Anche per loro può
essere usato l’appellativo: “EROI”.
Racalmutese Fiero
Questa insieme al museo archeologico, sarebbe una iniziativa che dovrebbe seriamente coinvolgere tutti i racalmutesi.
RispondiEliminaPaolo
Una cosa si può fare: costituiamo un gruppo di volontari a titolo gratuito e proponiamo ai commissari di rinnovare il protocollo d'intesa con la Sovrintendenza.
RispondiEliminaPenso ad esempio a tutti quelli che finora si sono interessati all'archeologia a Racalmuto e a coloro che hanno tentato in qualche modo di valorizzarla.
Piero Carbone.
Continuo a pensare che Racalmuto riuscirà a dare ai suoi “EROI”, morti nel buio di quelle gallerie estranee alla normale vita dell’uomo, ciò che loro spetta: rispetto e riconoscenza. Altrimenti che, “paese veramente straordinario”, sarebbe?
RispondiEliminaE' doveroso ricordare e dare dignità a tutte le persone che hanno lavorato e anche sacrificato la loro vita nelle miniere.
RispondiEliminaMolto interessante l'idea di far nascere un museo a Racalmuto.