Da quando
Sellerio ha pubblicato Kermesse, Museo d’ombre e L’incominciamento, rispettivamente di Sciascia, Bufalino e
Bonaviri, i modi di dire in dialetto siciliano commentati sono diventati uno
sfruttato filone editoriale e direi una moda o la scelta formula per esprimere
impegnativamente “voce e pensiero dei siciliani nel tempo”, per descrivere e caratterizzare una città
attraverso i suoi “proverbi, modi di dire e di fare, tiritere, nonsensi”. In questa
gran messe di pubblicazioni se ne trovano due molto curiosi; un terzo modo di
dire, invece, è tratto dalla nostra tradizione.
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‘U
spertu arriva a’ tavula cunzata
L’approfittatore
giunge quando tutto è pronto a tavola.
Spertu significa esperto ma nella
maggioranza dei casi viene ironizzato perché si tratta di classificare persona
adusa notoriamente a alzate d’ingegno abbastanza scoperte. Per gratificare di
pronta intelligenza e intraprendenza, il siciliano sposta d’un grado
maggiorativo il termine, dice spirtuni e
stavolta, quasi sempre senza ironie come non c’è ironia nel dire sautafossi (saltafossi) per tornare sul
concetto di prima, sulla intelligenza, su certa scaltrezza che siamo soliti
definire levantina nel settore
mercantile dei saltimbanchi. Ecco l’esempio di un sautafossi, che con dialettiche, abilità e inventiva, contratta
fino a strappare all’interlocutore un prezzo convenientissimo, ‘u spertu che, piovuto dal cielo, fiuta
l’affare e se lo porta via con faccia di piombo.
Mario Grasso, Lingua delle madri. Voce e pensiero dei
siciliani nel tempo, Prova d’Autore, Catania 1994, pag. 49.
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Sanzichitè,
ca morsi ‘a nanna!
Assai
misterioso modo di dire, dall’interpretazione rischiosa che potrebbe portare a
strane illazioni. E cioè: “Chi era” o “Cos’era” questo sanzichitè? Un ragazzo?
Un avverbio? Ma perché un avverbio dovrebbe gioire per la morte della nonna?
Tutto
diventa chiaro se si tiene conto dello zampino francese.”Sans se quitter” (non
muoversi; fermi tutti) che la morte della nonna manda all’aria i nostri piani.
Enna per modi di dire. Proverbi. Modi di dire e di fare. Tiritere.
Nonsensi. E altro ancora, a cura di Umberto Domina, Il Papiro Editrice,
Enna, senza data, pagg. 101-2.
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Sulla scelta del terzo modo dire
vanno dette alcune cose in premessa.
Una volta mi è
stato chiesto di commentare un detto racalmutese venuto fuori durante un
incontro organizzato sul tema “Solidarietà e saper vivere in comunità”. La
richiesta è stata così motivata: “Abbiamo quindi voluto saperne un tantino di
più e siamo ricorsi alla lietissima collaborazione dello scrittore racalmutese
etc. etc.”. A chiedermelo sono stati
alcuni ragazzi che avevano dato vita ad un “foglio” locale, uno di quei giornali a “numero unico” o quasi
nato sull’onda dell’entusiasmo giovanile quando nella fisiologica esigenza e
voglia di affermarsi si vuol mettere sottosopra il mondo e contestarlo e
rivoluzionarlo, per appropriarsene in qualche modo, in fondo. Il combattivo
manipolo che ricordo in ordine sparso era costituito da Salvatore ed Enza Pinò, Salvatore Picone, Florinda
Collura, Annarita Formoso,
Giovanna Macaluso, Giusi Ruggeri e Luigi Falletti che, prima di sbaraccare, eroicamente
ha cercato di arginare la diaspora dei redattori, di alcuni volontaria di altri
costretta. Discreto nume tutelare, Sergio Scimè. A distanza di sedici anni, l’ormai
laureata Florinda Collura fornisce la seguente testimonianza: “È stata un'esperienza
bellissima, anche travolgente, visto che non avevo mai fatto parte di una
redazione giornalistica. Mi è servita tanto questa esperienza sia perché si
viene a contatto con le persone, si discute, si dibatte... e sia perché secondo
il mio parere nella vita è importante esporre le proprie idee, i propri
pensieri, ascoltare quelli altrui e sapersi confrontare l'uno con altro...!!”
Puntuali
come ogni migrar di rondini, questi
giornali o “fogli cittadini” di commento e cultura, compaiono all’affacciarsi
di ogni generazione: diventano una bandiera, un partito sui generis, il luogo
di ritrovo di un gruppo di amici, la pista di lancio verso le destinazioni più
impensate. E ogni volta si assiste al pressoché identico spettacolo di reazioni
degli adulti o della concorrenza: sorpresa, sottovalutazione, sgomento, opposizione sotterranea, guerra
dichiarata dietro formule beneaugurali di circostanza fino al tentativo di
neutralizzare l’intruso.
Mi è accaduto
diverse volte di partecipare al battesimo di queste “creature” e ogni volta,
convinto della loro validità sociale e formativa, l’ho fatto con piacere, contribuendo con
articoli, consigli e qualche volta rivedendo le bozze in tipografia; chi è
immune da sviste e refusi? Esaurita la “spinta propulsiva”, alcuni di questi “abusivi” della professione
giornalistica si disperdono lungo le strade della vita lavorativa con percorsi
lontani da quell’esperienza di militanza
pubblicistica. Altri, nell’euforia di trasformare in lavoro stabile l’acerba
effusione o eruzione giornalistica, svendono quel sogno di intraprendenza
giovanile per inseguire chimere simili più allettanti. In conclusione, si può
dire che solitamente questi fogli garibaldini esprimono la voce dei giovani, a
cui, malinconicamente segue, quando resistono all’usura del tempo, e
persistono, un silenzio da vecchi: un silenzio particolare, costituito
stranamente da molte parole afone.
Del resto, raramente i giornali “giovanili”
sfuggono all’inesorabile legge secondo la quale appena diventano giornali di
adulti, da adulti, e si stabilizzano, uccidono il sogno giovanile di libertà
espressiva perché non fanno più “opposizione” e incominciano a “calcolare”
quello che debbono o non debbono pubblicare indulgendo a reticenze e
mistificazioni, trasformando le notizie e gli spazi cartacei e non cartacei in
merce di scambio, in regali per gli amici e in pietrate per i nemici: oscillando
tra prudentissimi silenzi e calcolati strepiti.
Importante,
comunque, è non invecchiare moralmente
sotto i colpi e contraccolpi delle vicissitudini della vita reale, non
incarognirsi nella dimensione sociale, fino a diventare cinici, come nel modo
di dire che quei ragazzi mi hanno chiesto di commentare su “La voce dei
giovani”, numero unico, luglio 1996:
La
spina n capu di l’antri è moddra comu la sita
Il cinico
detto racalmutese La spina n capu di
l’antri è moddra comu la sita non
viene riportato da Michele Castagnola
nel suo Dizionario fraseologico
siciliano-italiano né dal Mortillaro né dal Traina: riportano, costoro,
altri pungenti esempi ma non quello racalmutese. Due sono i motivi: o lo
ignorano perché poco comune o lo ritengono antisociale.
Spina,
infatti, equivale nel detto a: pena, dolore acuto, difficoltà, angustia,
cruccio, cosa che reca dolore. Ebbene, il detto racalmutese è di una disperante
violenza antievangelica. Altro che piangere con chi piange (e gioire con chi
gioisce)!
Tutto
il contrario: soffrire per chi gioisce e gioere per chi soffre. E peggio
ancora: si nega alla spina di essere spina. Non c’è indifferenza, ma sarcasmo,
trista ironia: le spine, e quindi le sofferenze, addosso agli altri non vengono
ritenute acute e dolorose come quelle dei pruni e delle rose o come le
scheggine di legno che si conficcano sotto la pelle o sotto le unghia. Macché!
Molli, seriche addirittura. E cosa c’è più carezzevole della seta che struscia
sulla pelle con la leggerezza di un battito di farfalla?!
Se
così fosse nessuno vorrebbe togliersi le proprie spine, invalidando l’altro
detto, racalmutese o no poco importa: Cu
avi la spina si la leva. Troverebbero in tal caso giustificazione tutte
le cattive coscienze di questo mondo.
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I proverbi e i modi di dire sono senza tempo e perciò
applicabili in tutti i tempi; tuttavia speriamo e scongiuriamo che, fuor di
metafora, cinici e spirtuna non siano riferibili all’ambito
sociale in cui viviamo e a cui siamo radicatamente legati perché il nostro
natìo loco, in questo particolarissimo momento storico, per una riqualificata
ripartenza, ha bisogno di tutt’altri modelli
antropologici.
Piero
Carbone
Non me ne vogliate a male sia lei PROF. CARBONE. CHE IL SINDAC. . TO. ED INFINE LA SI LOCO. Invece di diagnosticare il male che afflige il nostro PAESE non sarebbe giusto dare una efficacie CURA Per guarire da questo maledetto male . UN RACALMUTESE STANCO.
RispondiEliminaLa CURA GIUSTA sarebbe:per COLAZIONE "TARALLI e CUBAITA"
Eliminaper PRANZO "CUBAITA E TARALLI"
per CENA " O TARALLI O CUBAITA"
PER DUE ANNI .UN AUGURIO DI BUONA GUARIGIONE
Il male che affligge Racalmuto non può essere risolto con i taralli e la cubaita, perchè il primum movens patogenetico di questo male sono proprio "i taralli e la cubaita". Mi spiego meglio: se i racalmutesi anzicchè nutrirsi solo di taralli e di cubaita, facessero periodico uso (senza abuso) di polenta concia, o di risotto all'amarone, o di pasta all'amatriciana, o di abbacchio allo scottadito, o di pastiera napoletana etc etc etc forse potrebbero dare il giusto valore ai taralli ed alla cubaita: si renderebbero così conto che Racalmuto non rappresenta il centro dell'universo, e che quindi non è così importante occupare a tutti i costi "il centro di Racalmuto". Abbiamo visto spesso a Racalmuto l'entusiasmo trasformarsi in frenesia e questa in delirio. Non siamo più disposti a spettacoli di questo tipo.
EliminaIl Prof. Carbone come anche Racalmutese Fiero, non sono tenuti a fornire cure per incurabili mali, ma indirettamente e forse consapevolmente lo stanno facendo inducendo nel lettore sane riflessioni su quello che ci circonda, che non sfociano mai in aride e violente discussioni, come di regola accade nel nostro amato paesello.
Vi rivolgo sempre i miei complimenti: la strada è quella giusta.
La ringrazio per gli apprezzamenti e La invito a leggere, domani, l'articolo che pubblicherò.
EliminaCon stima
Salvatore Alfano
Mi dispiace contraddire a lei Signor Candido al PROF.CARBONE, E rACALMURTESE FIERO.IN CERTO qual modo mi sto per contraddirmi,mi spiego nella mia modesta intelligenza,Io condivido tutto quello che sta facendo il PROF.HO L'AMICO FIERO CHE METTE A DISPOSIZIONE IL SUO BLOG.pero tutti questi discorsi si debbono fare arrivare alla massa,utilizzando l'informazione via TELEMATICA l'informazione a mio parere e ristretto perche la gente comune non sa che esiste INTERNET per comunicare.QUINDI NEL MIO MODESTO PARERE BISOGNA CREARE UNA ASSOCCIAZIONE che funge da portavoce per il popolo racalmutese,ma forse ha Ragione il PROF. siamo abituati ad avere la TAVOLA apparecchiata ,ANCHE SE SAPPIAMO CHI LA APPARECCHIATA ,pero importante mangiare.In tutto questo mio commento MALGRADO TUTTO non cambia nulla.
EliminaGrazie Piero per aver ricordato quel piccolo giornale "La Voce dei Giovani"; conservo gelosamente tutte le copie. Anche il quel caso ho cercato di spingere, da giovane laureato i giovani liceali nella discussione sana e costruttiva sui problemi del paese. Scrivere e parlare non fa mai male.
RispondiEliminaAncora una volta mi ritrovo pienamente in sintonia con quanto scrive, se posso permettermi, l’amico Candido. Mi dispiace che interviene solo con commenti, sono assolutamente convinto che sarebbe interessante leggere qualche articolo prodotto da una penna di livello come la sua.
RispondiEliminaLo penso anch'io Roberto. Più volte ho cercato la persuasione ma senza risultato.
EliminaCu n’è buonu ppò re, n’è buonu mancu ppà rigina.
RispondiEliminaA li spirtuna fannu gula, li tiatra e li funnazioni, cu du sordi di giurnali ci vulissiru campari.
Bravissimo Professore Carbone.
RispondiEliminaIl parlare delle situazioni del paese non è un infruttuoso chiacchierare. E' un'attenta diagnosi per conoscere le abitudini, i modi di fare e di pensare di un popolo come il nostro.
E la conoscenza del passato è fondamentale per affrontare con consapevolezza il futuro. La diagnosi, ci dicono i medici, è basilareper approntare le conseguenti misure terapeutiche di difesa.
Le Sue, Caro Professore, non sono parole inconcludenti. Sono la ricetta che ognuno di noi deve avere presente per avere consapevolezza di come procedere per il futuro.
...peccato che questa passione il professore Carbone non l'ha messa quando era assessore del sindaco Salvatore Petrotto, nella legislatura più nera della storia degli ultimi trent'anni, amministrazione eletta nel 2007 e sciolta per mafia. Peccato .... per tante altre cose che si possono ricordare, non è vero?
RispondiEliminaLui non sapeva, non vedeva in che stato era il Comune? Forse gli faceva comodo così...(mi auguro che questo commento venga pubblicato, altrimenti anche voi sarete più censori degli altri!!!)
E perchè non dovremmo pubblicarlo, perchè questa preoccupazione?
RispondiEliminaLei esprime civilmente il Suo pensiero, non sta offendendo nessuno, non sta discriminando nessuno. Il prof Carbone, se vorrà, potrà risponderLe.
Scriva quando vuole ed esprima liberamente il Suo pensiero. Questo blog non è una cerchia ristretta ma è libera espressione di tutti, racalmutesi e non.
Cordiali saluti
Salvatore Alfano
Grazie Piero per la citazione. Ricordo anche io quel periodo con molto affetto, ero appena arrivato in paese e mi chiamò a collaborare Salvatore Pinò, ricordo che scrissi un paio di brevi articoli. Poi la prospettiva dell'abbandono da parte dei fondatori. Del mio breve periodo di transizione non ricordo nulla di eroico, per la verità solo il tentativo di continuare a dare voce al futuro di Racalmuto, ma la voce si spense....
RispondiEliminaL'Anonimo che dice "peccato" (come distinguerlo altrimenti dagli altri Anonimi?) non sa. Penso che gli farà piacere ricevere dati e documenti relativi alla passione cui fa riferimento, prima, durante e dopo, e sono sicuro che rivedrà, cavallerescamente, il suo giudizio. Sono in attesa di un suo recapito.
RispondiEliminaSolo due precisazioni, per lealtà e rispetto nei confronti di chi ci legge. La prima, non ho mai cercato nessuna carica, sono stato cooptato dalla politica come tecnico senz'altra condizione se non quella della qualità del lavoro da svolgere sulla scorta delle tante iniziative svolte in paese come libero cittadino e racalmutese fuorisede ad iniziare dall'originaria Pro Loco e a prima Recita del Monte nel 1978.
La seconda, quando è stata azzerata la giunta di cui facevo parte con motivazioni sindacali che non condividevo, ho scritto e pubblicato una lettera aperta in cui dichiaravo che il sottoscritto dichiarava conclusa la propria esperienza e non era assolutamente disposto ad essere ripescato né come assessore né come destinatario di incarichi offerti in alternativa. Scrivere poesie mi basta.
Nome: Piero. Cognome: Carbone