C’era
un gran da fare ogni anno, nelle famiglie, all’avvicinarsi della festa! Negli
anni ’60 non c’erano, in paese grandi magazzini
di moda, mercatini, negozi di abbigliamento. I vestiti si facevano
confezionare: si compravano le stoffe e si andava dalla sarta. C’era da parte
delle mamme un andirivieni da ‘ lu
pannieri’ a casa per far vedere la ‘mustra’ delle stoffe alle figlie. Se
piaceva loro e davano l’assenso, si acquistava la stoffa. La “mustra” (campione)
era un piccolo ritaglio , tanto più
piccolo quanto più costoso era il metraggio
.
Lu
“panniere” era riluttante soprattutto con chi era povera e non poteva
permettersi l’acquisto. -Facissi viniri
a so figlia cca accussì
la vidi di prisenza- Cercava
pretesti per non fornire la “mustra”. Lu
“panniere “ era il rivenditore di stoffe, gli scaffali del suo negozio ne erano pieni di ogni colore e qualità :
seta, cotone, chiffon, pizzo, satin facevano bella mostra e stuzzicavano la curiosità delle clienti. Ne ricordo uno in
particolare. Una volta ho rischiato, da
ragazzina, di rivolgermi a lui con un “signor Angadoro”. Fu la nonna a fermarmi in tempo e a spiegarmi che era il soprannome
derivante da alcuni suoi molari
rivestiti d’oro (anga=dente d’oro). Poi c’era la sarta. Bisognava sceglierla e
prenotare in tempo la confezione dell’abito. Il vestito più nuovo s’indossava
la domenica, quando la festa raggiungeva l’acme e il capofamiglia portava tutti
a prendere il ”pezzo duro”, il gelato a pezzi, in uno dei bar della piazza.
Tutti seduti come si conveniva! Le
scarpe nuove, in genere, venivano acquistate
presso il negozio di “mastru Masi” oppure si andava ad Agrigento. La “cubaita”, il torrone era di due
tipi:bianco e marrone. A me piaceva il
secondo. Mio padre evitava di comprare
la “cubaita” preparata con mandorle vecchie, delle annate precedenti. Aveva un
ottimo occhio clinico. Era veramente bravo! “Li bumbuluna” erano grosse
caramelle di zucchero colorato che attiravano l’attenzione dei bambini. La pasta di zucchero veniva lavorata da un
artigiano che si serviva di un gancio di ferro appeso ad un asse della sua
bancarella. Quando la pasta incominciava a divenire elastica e morbida,ancor
calda, la riversava su una lastra di marmo e incominciava a tagliare li
“bumbuluna” “Li ciciri “, i ceci, si mangiavano abbrustoliti. Durante il ”passìo”
ne venivano consumati a chili. La
“cicirara” era una signora/ina bassina e grassottella, sempre vestita in nero.
Aveva, in piazza, un piccolissimo
negozio dove vendeva” ciciri “crudi o cotti al forno, ”simenza” e “nuciddri”. Anche
d’inverno vendeva questa mercanzia! Che nostalgia! E se andassi a Racalmuto a
“vedere” la festa della Madonna
del Monte?
Maria
Di Naro
Quanti ricordi, leggendo questo articolo... e c'è di più... il panniere "Anga d'oro" è stato mio padrino di battesimo insieme alla figlia "Bellina" (Isabella), la quale vive a Palermo. Grazie x questi e altri ricordi ancora!
RispondiEliminaRosa Selvatica
Il ricordo mio di bambina sono: "li vesti luciusi". Orrende! Come era possibile scegliere simili stoffe?
RispondiEliminaDina
Vivere attraverso i vostri racconti, per me, che sono lontana da Racalmuto da anni, rappresenta una struggente nostalgia.
RispondiEliminaLina C.
Nessuno ha ancora parlato dei profumi. Gli odori di bummuluna, cubbaita, zucchero filato e tante altre cose. Non credo che in tutti i paesi la festa venga vissuta con tale intensità.
RispondiEliminaDomenico
Ma si chiamava Anga d'oru o Denti d'oru?
RispondiEliminaQuando la famiglia era la famiglia e si godeva anche delle piccole cose. L'euforia dell'attesa della festa.
RispondiEliminaLilla
Eravamo poveri, belli e felici.
RispondiEliminaAntonio