Il
rumore del bus della miniera e la puzza
della nafta mi svegliavano, puntualmente, la mattina verso le 5,30. Anche da
bambina avevo un sonno leggero.
Guardavo
dai vetri della finestra e vedevo gli zolfatari radunarsi nella piazzetta,
quella bella piazzetta che non esiste più!
Per opera di qualche ingegno luminoso politico –amministrativo, anni
addietro è stata demolita per far posto,
oggi, a quell’orrenda fontana di cattivo gusto!
Spesso
mancava l’energia elettrica ma loro erano forniti di citalene. Esse servivano a
illuminare il loro cammino tra gli
stretti cunicoli della miniera. Qualcuno l’accendeva, in piazza, quando c’era
buio fitto. Nell’attesa che si facessero le 6,00 (ora della partenza), parlottavano
e la loro voce risuonava nel silenzio di tutta la piazza Si potevano udire i discorsi.
Mia
madre svegliava mio padre ‘Pepè,vidi ca
ci sunnu li surfarara, va grapi la putia ca vonnu lu carburu pi li citaleni’
Il ‘carburu ‘era a
tocchi, come la carbonella , ma di colore grigio e si teneva ben chiuso ‘ ni li lannuni’ .Aveva posto nel retrobottega ,un po’ distante dai generi
alimentari. A noi bambini era proibito avvicinarci, ma io, di nascosto, qualche
volta trasgredivo. Era veramente tossico!
Mio
padre si vestiva velocemente e in pochi minuti era al lavoro. Rispettosi e
garbati, gli zolfatari riservavano il
primo posto all’unica donna passeggera: la giovane maestra , precaria di quel
tempo. Insegnava nei corsi rurali ed
era sempre a caccia di alunni che vivevano nelle campagne.
Continuavano
a parlare, a sorridere e speravano che aprisse il bar per prendere l’ultimo caffè. Per alcuni di
loro sarebbe stato davvero l’ultimo! Il grisou avrebbe intossicato l’anima e il
corpo, le esplosioni avrebbero disintegrato le loro ossa e fatto svanire ogni
sogno di famiglia normale.
Il dolore per questi morti, per queste vite
spezzate, per i volti smarriti di tanti bimbi orfani, per le donne perennemente
in gramaglie, per le urla strazianti
dietro un carro funebre, vive ancora tra le pieghe della mia anima. Un velo di tristezza mi avvolge ogniqualvolta ritorno a Racalmuto.
Maria Di Naro
Sono sempre più convinto che un giorno, nonostante l’apatia e il disinteresse delle istituzioni, dei Racalmutesi e dei parenti di coloro che furono gli eroi di quella guerra combattuta nelle viscere della terra, riusciremo a trovare dei locali degni, dove raccontare e conservare tutto ciò che accompagnava le loro vite.
RispondiElimina..sarebbe interessante e doveroso per loro e per noi:per non dimenticare come eravamo e come siamo,per non perdere la memoria
Eliminacollettiva e ricompattare il tessuto sociale in disfacimento.
Maria
Mi sembra un bellissimo progetto!
EliminaLa sensibilità nei ricordi di una bambina che accompagnano il suo percorso fino all'età adulta.
RispondiEliminaComplimenti
Lilla
Bravissima come sempre, mia madre. Grazie per aver condiviso queste preziose memorie.
EliminaRosanna Ficarra
La bottega di suo papà rappresentava, insieme a poche altre, un'istituzione.
RispondiEliminaSono contenta di aver letto le sue parole
Angela
Una bella pagina Maria, una pagina di storia raccontata con grande sensivilità.
RispondiEliminaComplimenti
Giuseppina
Per allestire una sala storico-commemorativa delle zolfare e dei zolfatari all'interno del Castello Chiaramontano ci vuole solo la volontà politica. La vedrei una parte del Museo Cittadino che ogni comune dovrebbe avere e che noi potremmo allestire con relativa facilità.
RispondiEliminaConcordo in pieno sul giudizio riguardo alla "orrenda fontana di cattivo gusto". Quella fontana e quel giardinetto sono incongruenti dal punto di vista urbanistico ed estetico. Il tutto è chiuso da una offensiva inferriata, posta lì onde impedire ai cittadini di accedere al vialetto-marciapiede che contorna il sedile della fontana. Come dire che non siamo degni di andarci a sedere sul bordo della fontana, solo guardarla da lontano. Finché a proteggere il verde pubblico ci saranno muri e inferriate non potremo dirci civili. Prendiamo esempio dalla villa comunale di Canicattì, dove sono stati abbattuti tutti i muri esterni e finalmente è fruita liberamente,e, incredibilmente, con più sicurezza.
Tutto vero. Per la cronaca: anche il comune di Canicattì, un tempo, fu commissariato. Gli organi prefettizi, deputati all'aministrazione del comune, operarono così bene, in accordo e in totale apertura con i cittadini, che il paese ne trasse ampio beneficio. E ancor oggi, se ne apprezzano i risultati.
EliminaMatteo
sono stato di recente dentro la villa di Canicattì: il prato inglese era totalmente cosparso di immondizia varia e cartacce. Noi indipendentemente da chi ci amministra, l'immondizia ce l'abbiamo nell'anima, non ci resta che rifuggiarci in isole virtuali come questo blog, per respirare profumo di viole e ciclamini.
EliminaNon sarà un'isola che profuma di viole e ciclamini, non ha certo la presunzione di risolvere i problemi, ma si illude, questo blog, di far confrontare le persone e le loro idee. Magari, parlando, parlando, qualche cosa di buono si riesce a tirare fuori, senza liti, senza scontri esasperati. Grazie, comunque, per il tuo...odoroso commento.
EliminaCastrum Racalmuto Domani
Un ricordo doveroso ad una figura importante per lo sviluppo dell'attività mineraria zolfifera, "U CARUSU" presenza del caruso (ragazzino) era una componente essenziale, tanto che i picconieri cercavano sempre di accaparrarseli.
RispondiEliminaSi tratta di bambini che venivano avviati al lavoro minerario per pochi soldi.
Questi esseri laceri e macilenti, resi storpi e rachitici dalla fatica inumana, ai quali veniva vietato il più ingenuo dei giochi,erano costretti al duro lavoro della galleria.
Venivano "ceduti" al pirriaturi (picconiere) il quale, anch'esso povero diavolo, per poter lavorare,con gli attrezzi d'uso,doveva anche disporre dei "carusi" che, come animali da soma, usava come mezzi per il trasporto a spalla dei sacchi colmi di zolfo estratto che dalle profonde gallerie veniva portato all'aperto sul posto di fusione.
Da ADOLFO ROSSI
RispondiEliminaL'AGITAZIONE IN SICILIA (http://www.spazioamico.it/Adolfo%20Rossi.htm)
Mentre mi trovavo a Campobello di Licata, avendo saputo che a sette chilometri dal paese esistono alcune importanti zolfare nelle quali lavoravano parecchi soci dei Fasci di Ravanusa, Campobello e altri comuni vicini, decisi di andare a visitarle
De Felice, che sebbene siciliano non era mai sceso in una zolfara, volle accompagnarmi e ciò fece si che, appena ne furono informati, tre o quattrocento soci del Fascio con una dozzina di bandiere rosse deliberarono subito di seguirci.
Mentre aspettavamo i muli all'uscita del paese, davanti ad alcune misere casupole, un centinaio i donne, dopo averci portate due sedie, circondarono De Felice e gli dissero che a Campobello si soffre molta fame. Siccome non ha territorio proprio, il Comune ha imposto le tasse del fuocatico e del bestiame. I disgraziati i quali con possiedono che un somarello o un mulo coperto di guidaleschi devono pagare l’imposta. Ogni diroccata casupola poi, superfluo dirlo, è soggetta alla tassa sui fabbricati; e chi non paga se la vede messa all’asta.
Tre giovani spose, magre, patite, dissero poi piangendo che da nove mesi avevano i mariti in prigione senza sapere perché.
— E noi moriamo di fame! — urlavano agitando davanti a noi sulle braccia i loro bambini macilenti. — E non sappiamo come fare con queste creature che domandano sempre del pane. I nostri mariti sono colpevoli di qualche cosa? Ebbene, li con- dannino, ma non ci tengano cosi tanti mesi in questa pena. Assassini! Assassini!
Quelle disgraziate facevano tanta compassione, che tutti i presenti avevano le lacrime agli occhi. Alle 3 finalmente partimmo colla numerosa scorta dei soci capitanati da alcuni capisezione con le fascie scarlatte a tracolla. Nelle ondulazioni del terreno sassoso, quella processione di contadini dalle carmagnole nere, con le bandiere rosse, era uno spettacolo nuovo: faceva venire alla mente le bande rivoluzionarie che un secolo fa andavano da un paese all’altro a piantare l’albero della libertà. Alcuni dei capisezione col viso completamente sbarbato avevano delle fisionomie serie di asceti; altri con le lunghe barbe sembravano dei David Lazzaretti.
Ci accompagnavano senza grida incomposte, ragionando seriamente della loro posizione. Al mio fianco camminava un intelligente ragazzo che portava una tabella infissa sopra un’asta, con la scritta: “L'avvenire è per noi”. Un'altra tabella recava i versi del canto dei lavoratori:
Se divisi siam canaglia, Stretti in Fascio siam potenti.
A un certo punto, mentre attraversavamo la montuosa regione che separa Campobello dalle zolfare, vedemmo in lontananza un ragazzo di nove o dieci anni, basso e rachitico, che fuggiva per la campagna brulla, inseguito a duecento metri circa di distanza da un uomo senza berretto e dalle vestì boancbe di zolfo, che per correre meglio s’era levate
le scarpe e con esse minacciava il fuggitivo con atti di ira feroce.
— È un picconiere — ci disaero i contadini — che cerea di ripigliarsi un caruso scappato. Se lo prende, lo concia per la feste! Sono cose che succedono qui tutti i giorni.
Succedono tutti i giorni, ma sono cose barbare, che non dovrebbero essere tollerate in paesi civili. Davanti a quella fuga e a quell'inseguimento, a me pareva di assistere ad una scena della Capanna dello zio Tom della Beecher-Stowe.
I carusi, com’è noto, sono generalmente ragazzi sagli gli otto ai quindici o diciott’anni, che trasportano a spalla il minerale dello zolfo dalle profonde gallerie alla superficie, arrampicandosi su per gli strettissimi pozzi. I picconieri, cioè gli uomini che coi picconi staccano il minerale nelle gallerie, si procurano uno più carusi mediante un’anticipazione ai genitori dei ragazzi di una somma che varia dalle 100 alle 150 lire in farina o
continua (http://www.spazioamico.it/Adolfo%20Rossi.htm)
Una pagina da antologia sugli zolfatai scritta da Maria con il ricordo del cuore che bisognerebbe far leggere ai nostri ragazzi nelle scuole!
RispondiEliminaPietro Ancona