“Alò…”,
dall’altra parte del filo mia zia dal Canada, sorella di mio padre. L’America
in quegli anni vide tanti sbarcare sul suo suolo in cerca di fortuna o fatti
arrivare da mariti, fratelli, cognati, padri. A Racalmuto molte famiglie
vantavano almeno un parente emigrato.
A Toronto, ad Hamilton e in altri luoghi
di quella lontana terra, c’erano intere famiglie, nuclei numerosissimi che
avevano costituito una comunità, un’illusione di trovarsi sempre in Sicilia, di non essere mai partiti.
Il loro mondo si svolgeva in quei quartieri di College o della 57.ma Clovelly,
abitati per lo più da persone imparentate tra loro che non avevano neanche l’esigenza
di uscire fuori da quei ghetti per integrarsi con la comunità locale. Sarebbero
dovuti passare molti anni prima che le cose cambiassero e magari i figli dei
figli si “mischiassero” a quegli americani divenendo parte integrante di un
vastissimo Continente.
All’inizio era uno scambio di lettere, cartoline
illustrate, fotografie. All’interno delle buste spesso trovavi alcuni dollari
di carta, significato di generosità e modo di comunicare che gli zii d’America
avevano fatto fortuna, stavano bene. Ogni tanto qualche pacco con le cose più
strane: oggetti di metallo finto oro, souvenir di silver, qualche indumento che
non lasciava dubbio allo scarso gusto. Si ricambiava con gondole di plastica o
portasigarette carillon, tanto desiderati dai parenti d’oltre oceano.
I primi
ritorni in terra natìa lasciavano gli emigrati sorpresi dal benessere conquistato
dai parenti siciliani, tanto da farli esclamare: “l’America è cca!”. Si
assisteva a scene strazianti di sorelle e fratelli che si abbracciavano
piangendo e quasi non si riconoscevano a causa degli anni trascorsi. Tutto
finiva dopo i primi giorni; si riprendevano discorsi passati: “la casa, la mamma
avrebbe dovuto lasciarla a me… no a me, a te aveva dato il terreno…”. I pianti
riprendevano alla partenza, abbracciati
non mancavano di ricordare, ognuno all’altro, quanto avessero ragione
sulla faccenda della casa, su quel terreno. “Ormai nni vidiemmu ddassusu…”,
suonava come un triste presagio.
L’avvento del telefono nelle case dei
siciliani, sintomo di benessere, migliorò le cose. I tempi cambiavano
rapidamente e anche la Sicilia conquistava la sua America. Chiamare gli zii era
un rito. Si calcolava l’ora giusta per non disturbare e trovare tutti a casa.
Ci si riuniva attorno al telefono, tra il pollice e l’indice un biglietto con
su scritto il numero, si parlava con la signorina del “170” , chiamate internazionali,
che metteva l’utente in comunicazione col numero desiderato. “Alò…”, due domande non mancavano mai: “chi tiempu fa”… “chi ura
su dduocu”…
Racalmutese Fiero
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