Scrive
Umberto Santino La storia della Sicilia non ha bisogno di
"sicilianismi” e passa subito a ricordare che <<Fin dal suo atto di
nascita, con il Comitato "Pro Sicilia" ai tempi dei processi per il
delitto Notarbartolo (1893) e poi con il separatismo nel secondo dopoguerra, il
sicilianismo ha avuto una precisa funzione. Quella di fare da collante
ideologico, basato sulla difesa del buon nome della Sicilia e sui
"torti" che lo Stato le avrebbe fatto da rimborsare con lo statuto
speciale e moneta sonante, per assemblare un blocco sociale.>> Si chiede
Umberto Santino, giustamente attaccando Lombardo e i suoi seguaci <<A
cosa mirano oggi Lombardo e i suoi seguaci, lanciando una crociata contro
l'Unità d'Italia e in particolare contro Garibaldi e Cavour….?>>.
Le parole hanno una storia
e quella del sicilianismo sta per difesa della Sicilia finalizzata ad
ottenere benefici. Sicilianismo che si colora di mafiosità come nel caso del
delitto Notarbartolo quando chi usa la difesa della Sicilia, anche con
argomenti validi, lo fa in modo strumentale per depistare l’attenzione dalla
mafia, magari per attribuire l’esistenza di questa alle malelingue, a chi
ci vuole male! Se n’è occupato Umberto Santino in vari testi, come la Storia
del movimento antimafia, Dalla mafia alle mafie e la Breve storia della
mafia e dell'antimafia.
Ma come ci dice Vaiana (in Didattica
per un'educazione antimafia in perlasicilia.it) <<Sulle origini e sul
valore del sicilianismo non c’è fra gli studiosi unità di
interpretazione>>. Con l’avvento del Regno d’Italia, ci dice sempre
Vaiana (op. cit.), <<l’ideologia sicilianista si trasforma in
sicilianismo, cioè in difesa tout court dell’onore dei siciliani offeso dai
nuovi dominatori romani (reazioni antigovernative per i metodi di lotta al
brigantaggio, reazioni per gli esiti dell’inchiesta di Franchetti e
Sonnino).>>
In questo senso il sicilianismo
non ha una connotazione negativa, connotazione che assume, come abbiamo visto,
quando è usato strumentalmente per ottenere benefici, o peggio ancora per
difendere un mafioso (Il Palizzolo).
E’ vero che le parole hanno
una storia, ma niente ci vieta di coniarne delle nuove, o di introdurre delle
distinzioni di significato, come per esempio tra sicilianismo tout–court, nel
senso di difesa della Sicilia dai torti subiti o dal razzismo antimeridionale e
sicilianismo di stampo mafioso o reazionario, e ancora di non tenere conto di
luoghi comuni o stereotipi. La lingua è viva, finché la parliamo.
Sana
difesa della Sicilia è quella di Umberto Santino quando dice: <<Comunque
su uno dei personaggi di cui si è parlato in questi giorni, una "modesta
proposta" l'avrei anch'io. Penso a Franceso Crispi e in particolare al
monumento dedicatogli in una piazza di Palermo.>> E propone di porre una
lapide o altro che ricordi i massacri dei protagonisti dei Fasci siciliani,
ordinati da Crispi.
E
sicilianista non mafiosa sarei anch’io nel momento in cui facessi la proposta
di cancellare la targa della via intitolata a Nino Bixio a Palermo e non solo a
Palermo!! Se poi non piace l’espressione sicilianista non mafioso/a considerateci
semplicemente siciliani adulti che parlano della Sicilia difendendola quando
occorre, senza timore di essere considerati, con disprezzo, sicilianisti. E,
credetemi, a volte non è facile!
Per quanto riguarda
Garibaldi è sicuramente superfluo ricordare, ma mi piace farlo, quanto egli
stesso, amareggiato per il comportamento dei Piemontesi in Sicilia e nell'ex
regno borbonico, spogliato di tutte le sue ricchezze, ebbe a scrivere nel 1868:
<<Gli oltraggi subiti dalle popolazioni meridionali sono
incommensurabili. Sono convinto di non aver fatto male, nonostante ciò non
rifarei oggi la via dell'Italia meridionale, temendo di essere preso a sassate,
essendosi colà cagionato solo squallore e suscitato solo odio.>>
Lo storico Massimo Gangi,
come ci ricorda sempre Vaiana (op. cit.) pur respingendo fermamente il
sicilianismo reazionario critica fermamente l’«anti-sicilianismo».
Ma
vediamo qualche definizione:
Santi Correnti
il sicilianismo è una esagerazione
retorica, perché è una esaltazione esasperata del nazionalismo isolano, molto
simile al germanesimo esasperato dei tedeschi del "Deutschland ùber alles
in der Welt", che vuole "la Germania sopra ogni cosa nel mondo".
Tullio De Mauro
http://www.demauroparavia.it/108105
si|ci|lia|nì|smo
s.m.
movimento politico e atteggiamento intellettuale che rivendica l’autonomia culturale e politica della Sicilia rispetto alla restante Italia
Nella definizione di De
Mauro il sicilianismo non ha una connotazione negativa, e non si colloca
storicamente. Cosa, questa, attribuire una data alla nascita del sicilianismo,
che invece fa Umberto Santino nel suo articolo: <<Fin dal suo atto di
nascita, con il Comitato "Pro Sicilia" ai tempi dei processi per il
delitto Notarbartolo (1893)…” e ci spiega anche la funzione che ha avuto
il sicilianismo: “Quella di fare da collante ideologico, basato sulla difesa
del buon nome della Sicilia e sui "torti" che lo Stato le avrebbe
fatto>>. (Su questo condizionale non sono d’accordo perché fanno parte
della storia i torti subiti dalla Sicilia e lo stesso Santino, come abbiamo
visto, a questi torti reali e non fantomatici si riferisce quando parla del
Crispi.)
Al carattere ideologico del
sicilianismo fa riferimento anche Renda nella sua definizione di sicilianismo:
<<Il sicilianismo non era di per sé ideologia mafiosa, ma si prestava ad
essere utilizzato in chiave ideologico mafiosa. Sotto il profilo
ideologico, nella interpretazione sicilianista della mafia si trovano
accomunati campioni dell'antimafia come Napoleone Colajanni, intellettuali
di livello nazionale come Mosca, e studiosi di segno sicilianista
inconfondibile come Pitrè. Sotto il profilo politico, lo schieramento era
diverso. Colajanni, Mosca e Sturzo stavano da una parte, e Pitrè
dall'altra>>. (Francesco Renda Storia della mafia Sigma edizioni
1997 Pag. 164 ).
E
veniamo a Napoleone Colajanni: proprio nel contesto del processo Notarbartolo
fa una appassionata difesa della Sicilia. Era affetto da “becero” sicilianismo?
Era un mafioso? Certamente no! Vediamo cosa ci dice la storia: <<In
effetti. il dibattito processuale che porta alla incriminazione del Palizzolo
si svolge in un clima che non si limita alla valutazione di quanto avviene
nell’aula, ma trascende in animosità che riflettono ed esasperano le
conflittualità esistenti fra Nord e Sud. Un esempio che va oltre il segno è
quello di Alfredo Oriani. In un articolo titolato Le voci della fogna, apparso
su I! Giorno dell’ 8 gennaio 1900, scrive che “l’ isola è un paradiso abitato
da demoni”, che “si rivela come un cancro al piede dell’Italia, come una
provincia nella quale né costume né leggi civili sono possibili”. Napoleone
Colajanni reagisce rimandando al mittente “l’insulto sanguinoso”, giacché
“nella fogna hanno diguazzato allegramente e vi hanno portato un lurido e
pestilenziale materiale i Balabbio, i Venturi, i Venturini, i Codronchi, i
Sacchi, i Cellario, i Mirri… nati e cresciuti tutti al di la del Tronto” Il
Colajanni coglie anche l’occasione per rilevare e lamentare che “nella fogna ha
voluto diguazzare un poco la magistratura di Milano>>.( Francesco Renda op.
cit. Capitolo VI I processi Notarbartolo pag.154).
Non
dovrebbero esserci dubbi a questo punto che difendere la Sicilia non significa
tout - court essere “sicilianisti mafiosi”. Le visioni della Sicilia e
dell’Italia meridionale ai tempi del delitto Notarbartolo erano, a dir poco,
razziste! Ricordiamo per tutte quanto ebbe a dire il presidente Lanza a
Rattazzi: “Je ne vous demande qu’un faveur:
Muselez (mettete la museruola) le méridionaux. Le danger pour l’Italie est dans le Sud”.
Muselez (mettete la museruola) le méridionaux. Le danger pour l’Italie est dans le Sud”.
E il razzismo
antimeridionale è più che mai vivo anche ai nostri giorni! Mi riferisco agli
attacchi continui che possiamo leggere sulla stampa, ma anche, perché secondo
me più perniciosa, a tutta quella letteratura pseudo-psicologica, che fa
risalire tutti i mali dell’isola alla nostra <<cultura>>. Parlo
dell’impostazione culturalista di tutti quei siciliani che si sentono in dovere
di attribuire al “carattere” dei siciliani tutti i mali della nostra storia
compresa la mafia. (Tra questi però non ho mai trovato un magistrato!!!).
Qualcuno ha detto: Il paradosso dei paradossi è che hanno inculcato al Popolo
Siciliano il pregiudizio razziale su se stesso.
Non mancano infatti i
Siciliani che potremmo definire antisicilianisti di stampo culturalista,
che amano riferirsi ad ogni pie’ sospinto all’ideologia mafiosa, al sentire
mafioso, alla cultura mafiosa del popolo siciliano. Costoro amano anche citare
quanti, uomini illustri, hanno parlato male dei Siciliani o dei meridionali in
genere, affinché questi non abbiano mai a dimenticare di che mala carne
sono fatti!! Amata la citazione del messinese Scipione Di Castro della seconda
metà del Cinquecento, (epoca in cui certamente il concetto di razza era ben
lungi dall’essere superato!), il quale negli Avvertimenti a Marco Antonio
Colonna quando andò viceré in Sicilia traccia, fra l’altro, il carattere
dei siciliani. Questi, egli dice – <<generalmente sono più
astuti che prudenti, più acuti che sinceri, amano le novità, sono litigiosi,
adulatori e per natura invidiosi; sottili critici delle azioni dei governanti,
ritengono sia facile realizzare tutto quello che loro dicono farebbero se
fossero al posto dei governanti.>> Ripeto a questo proposito, quanto ho
avuto modo di dire in altre occasioni: Attribuire alla “cultura di un popolo”
comportamenti negativi è razzismo! Infatti il razzista oggi, non potendo più
fare riferimento alla razza, concetto scientificamente superato, parla di cultura.
Per costoro ecco l’antidoto usato da Umberto Santino: “Raccontare la storia
delle lotte contro la mafia dall'ultimo decennio del XIX secolo ai nostri
giorni” questo, dice Santino, “ ci sembra il modo migliore per dare una
risposta, più convincente di mille polemiche, a tutte quelle visioni della
Sicilia e dell'Italia meridionale legate a schemi teorici tanto gratuiti, in
tutto o in parte, quanto fortunati.” (http://www.centroimpastato.it/publ/online/augusto_cultura_siciliana.php3).
A tutti i
culturalisti, assieme ad Alessandra Dino, la quale sostiene che l'approccio
culturalista è sbagliato, privo di basi scientifiche e controproducente sul
piano del contrasto al fenomeno mafioso (<<come si fa a sconfiggere una
cultura?>> ), ha dato una risposta Salvatore Lupo quando dice: “Invece io
credo che esista un’ideologia mafiosa che riflette i codici culturali ma
soprattutto per deformarli, riappropriarsene, farne un complesso di regole tese
a garantire la sopravvivenza dell’organizzazione, la sua coesione, la sua
capacità di trovare consenso, di incutere terrore all’interno e all’esterno.”
(Salvatore Lupo Storia della mafia Donzelli 2007 pag.168)
Giuseppina Ficarra
mi chiedo sempre: cosa sarebbe stata la Sicilia ed i Siciliani senza l'annessione al Regno d'Italia? A che grado di civiltà saremmo oggi, senza la continua rapina del Nord, che dura dal 1860? Quale sarebbe la nostra economia, la nostra organizzazione sociale,senza l'interferenza del resto d'Italia?
RispondiEliminaGentile Signora Ficarra, i Suoi interventi ci danno una preziosa lezione di stile.
RispondiEliminaLa profondità, l'accuratezza nel linguagio, la documentata espressione, la semplicità nella profonda scrittura ci fanno riflettere su quali binari bisognerebbe viaggiare per contribuire ad elevare il nostro comportamento e affinare la nostra mentalità.
Grazie!!!
EliminaIl suo apprezzamento, anche se sicuramente esagerato, certamente mi ha fatto piacere.