Quando ero bambino, in piazza Francesco Crispi, ogni volta che potevo
andavo ad ascoltare un grande cantastorie, Cicciu Busacca. Cicciu cominciava le sue storie sempre con
tre colpi bene assestati alle corde della sua chitarra e cantando: “Vogliu
cantari cu menti sirena, tutta la vera storia di..………….” Anch’ io oggi vi voglio raccontare, con mente
serena, una storia vera che fa parte del vissuto del nostro paese.
Questa è la storia di un racalmutese, mio zio, il Commendatore Dottore
Giuseppe Bartolotta, classe 1861, lo stesso anno in cui Garibaldi sbarcava in
Sicilia con i suoi mille diavoli rossi.
Anche il caro amico Eugenio Napoleone Messana, nel suo libro “Racalmuto
nella storia della Sicilia”, parla di lui.
Lo zio Giuseppe credo sia stato l’unico, che io sappia, a Racalmuto a
non volere prendere la tessera e iscriversi al partito fascista. Un giorno il podestà di Racalmuto gli diede
l’ultimatum: o si iscriveva al partito fascista o sarebbe stato arrestato. Giuseppe Bartolotta non era un uomo comune:
socialista convinto, come quelli di un volta
che si sono estinti con la morte di Nenni; non era certo facile piegare
il suo spirito e la sua fede politica.
Quella maledetta lunga notte, i familiari e il signor Calogero Mulè, di
professione barbiere, suo uomo di
fiducia, lo esortarono, lo implorarono di prendere quella “cazzo” di tessera
schifosa. Molti lo avevano fatto pur non credendo nel fascismo o addirittura da
antifascisti. Ma il Dottor Giuseppe Bartolotta, evidentemente era fatto di
un’altra pasta e, all’alba, quando i carabinieri bussarono al suo portone, egli
con l’orgoglio di uomo libero, porse loro i polsi per farsi ammanettare.
Fu arrestato, processato e condannato il socialista Giuseppe Bartolotta e messo a marcire in
galera. Quando gli Americani entrarono
in Sicilia e la liberarono dalla peste fascista, lui fu liberato con tutti gli
onori e gli fu offerta la carica di prefetto,
che rifiutò.
Il commendatore Giuseppe Bartolotta, ai tempi, alternandosi con il Barone
Tulumello, amministrò per lungo tempo Racalmuto. Una popolare poesia recitava a
quel tempo così: "cu li grana o senza grana lu barunieddu scinni e lu
cumannaturi acchiana o viceversa".
Erano quelli tempi d’oro per la politica nel nostro paese, tempi in cui
era facile sentire in consiglio comunale, con le casse del comune sempre disastrate, il
sindaco prendere la parola e dire: “
segretario, a verbale, le spese per la realizzazione di questa opera sono a
totale carico del sindaco”.
Era un grande onore, allora, fare il sindaco ; lo si faceva per prestigio, rimettendoci spesso risorse
economiche proprie.
Oggi far politica, governare in
genere, è visto come una possibilità di
impiego, un matrimonio d’interesse. Segno dei tempi che cambiano!
Roberto Salvo
Bella storia,egregiamente raccontata...me le sentivo tutte le storie cantate da Ciccio Busacca e Rosa Balistreri,non dovevo spostarmi,cantavano sotto casa mia,alla piazzetta.Ricordo le illustrzioni coloratissime.Tanto"di cappello" per il rigore morale di tuo zio ma mi rifiuto di pensare che nel nostro paese non ci siano persone capaci di gestire onestamente "la cosa pubblica" Certamente è più difficile per tanti motivi. Forse non c'è nessuno tanto ricco da potersi permettere di fare mettere a verbale: 'quest'opera verrà realizzata a spese del sindaco'
RispondiEliminaA noi basterebbero:onestà,rigore morale e consapevolezza del ruolo.
Maria Di Naro