martedì 16 ottobre 2012

IL DOVERE DELLA DENUNCIA


Più volte, io e Roberto, ci siamo chiesti se fosse il caso di voltare pagina e occuparsi di altre notizie, di altri argomenti. Poi il filo logico delle cose, la cocciutaggine, la voglia di vedere un paese assurgere alla cronaca per meriti e non per demeriti, forse, ci spinge a continuare ed affondare il coltello nei nostri mali come a recidere  un tessuto malato, illudendoci di poter, con quattro righe, cambiare il corso delle cose.

Se  la classe politica locale, formata da persone ha fallito, anche usando male le risorse assegnate all’amministrazione, foraggiando una pletora sterminata di mogli, figli, parenti e amici, non lo ha fatto perché il comune, come istituzione, seguiva la logica del clientelismo e del nepotismo. Ci si dovrebbe chiedere, in piena coscienza, se le responsabilità siano state esclusivamente di chi amministrava la cosa pubblica o, a respiro più ampio, degli elettori prima, dell’opposizione dopo e di tutti quelli che avrebbero dovuto controllare.

E viene da chiedersi, anche, se gli amministratori siano stati indubbiamente carnefici o ipoteticamente vittime, vittime di un sistema politico contorto che evitava loro di attuare regole e delibere in piena autonomia e in perfetta libertà.

Spesso leggiamo organi in rete che si accendono di sdegno e passione per ogni minimo spreco,  per poi dormire lunghi sonni tranquilli quando ci sarebbe da spendere pagine e pagine nella ricerca dei veri motivi che hanno causato simili danni.

Assistiamo adesso a formazioni politiche che mirano ad annientare ogni forma di opposizione consentendo così, al singolo potere, una malfunzionante autonomia gestionale. Quando in solitudine  qualcuno grida alle malefatte, buona parte dei contestatori, dei critici si girano per non vedere, per occuparsi d’altro e per evitare, seguendo una mentalità che non porta a nulla di positivo, che qualcuno possa spiccare oltre interiori umane miserie, fatte di interesse e di protagonismo.

Se i politici locali   hanno amministrato secondo criteri che hanno favorito interessi personali, il fatto è stato tollerato, venendo quasi considerata una malattia incurabile e pensando, erroneamente, che il suo focolaio si trovi a latitudini meridionali, accettandone così, di fatto, l’ineluttabilità del decorso. Lo sperpero di denaro pubblico, il dilapidare di fondi comuni, dovrebbe scandalizzare sempre ed essere contrastato in ogni caso.

Chiunque ha a cuore questo paese dovrebbe trasformarlo in un fronte comune di critica costruttiva e di contrasto alla cattiva gestione amministrativa. Senza opposizione un potere, di qualunque natura, tenderà sempre a dilagare coinvolgendo negativamente il tessuto sociale. E bisognerebbe, non solo valutare prima, scegliendo persone capaci e moralmente corrette, ma controllare dopo, seguendone le azioni che siano in linea con i programmi. Se le future amministrazioni agiranno evitando di calpestare i diritti dei cittadini e se questi, impediranno a chi li amministrerà di travolgere ogni interesse collettivo in favore di quello personale, si cambierà il corso delle cose e tale mutamento potrà salvare il paese dal baratro.

Racalmutese Fiero
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4 commenti:

  1. A tutti faceva comodo il sistema del: chi mi du si ti dugnu. Così è andata avanti la politica racalmutese per tanti lunghissimi anni. Ne hanno beneficiato tutti, anche chi adesso critica e vorrebbe vestire i panni del capopopolo

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  2. Il nuovo sistema elettorale abolisce il contraddittorio tra maggioranza e opposizione. Per governare non c'è più bisogno di partiti marginali che fungevano da ago della bilancia e con i quali bisognava accordarsi, promettendo qualunque cosa pur di averli dalla loro parte. Non so se questo sistema produrrà un buon governo o un mal governo, ancor peggiore di quelli avuti. E mi riferisco a tutte le realtà, quella nazionale, regionale, comunale

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  3. La casa/cassa comunale, gli LSU, gli articolisti, la forestale, la mafia (sia vissuta in prima persona -per cause genealogiche e/o di mera vendetta-, che in situazioni di inevitabile interlocuzione professionale), la "ratteddra" in nero, il traffico di stupefacenti, i furti, la clonazione di carte di credito etc etc etc: queste sono state le uniche fonti di sopravvivenza per il popolo racalmutese negli ultimi 20-30 anni. Un popolo di saggi contadini, salinari e zolfatari si è trasformato gradualmente in una massa senza identità culturale di individui "brutti, sporchi e cattivi". E noi? Noi intellettuali (veri o finti) trainati dal Sciasciano punto di vista che la Sicilia è metafora, cerchiamo ancora di capire in cosa l'uomo ha sbagliato, quali le responsabilità della politica e come si potrà ridare dignità alla stessa! La politica ha una sola responsabilità: quella di aver democraticamente espresso il popolo racalmutese. Racalmuto oggi è totalmente privo di quel minimo di attività produttive, indispensabile per conferire lavoro e quindi dignità all'uomo. E non cominciamo a parlare di turismo culturale come unica risorsa economica: Racalmuto non è la Girgenti di Pirandello, la Praga di Kafka, la Lisbona di Pessoa e Saramago o la Barcellona di Gaudì. Non lo è, e purtroppo non lo sarà mai. Il mio non deve considerarsi un invito al pessimismo ed alla disperazione, ma dovremmo iniziare a comprendere meglio la vera causa del problema, nella speranza che con il tempo si possa intravvedere una soluzione dello stesso.
    E non indigniamoci più se alle spalle di Saviano nella trasmissione televisiva, fra i comuni sciolti per mafia ritroviamo il nome di Racalmuto; la colpa non è della politica in quanto tale, ma della Racalmuto onesta che non ha avuto il coraggio dagli anni 90 ad oggi, di togliere il saluto a tutti i conoscenti, amici e parenti che improvvisamente risultarono essere “sporchi di mafia”.

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  4. la politica e tutti i politicanti devono liberare anche i marciapiedi sono d'intralcio sempre e comunque.

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