Ma
cosa sta avvenendo a Racalmuto nell’era contigua allo scioglimento
per mafia del consiglio comunale? Dopo lo schiaffo, la carezza del
corposo finanziamento di 1.200.000 euro per riprendere un cammino di
crescita civile e legalità. Tutto il paese nelle sue varie
componenti sociali, culturali, economiche, lavorative, professionali,
politiche, ecclesiastiche, dovrebbe all’unisono cooperare,
collaborare, per costruire insieme e non per escludere, separare,
creare figli e figliastri, cittadini puri, affidabili, e cittadini
impuri, inaffidabili, insignificanti al punto da non potere dialogare
con le istituzioni. Il nostro è un paese particolare.
Molteplici
sono in Italia in questo periodo i comuni “sciolti” per mafia ma
solo Racalmuto riceve l’attenzione di un giornale nazionale con un
reportage di ben sei pagine sul suo settimanale. In tempi e
condizioni di normalità ci sarebbe da essere orgogliosi. Invece…
Prima
di vedere l’immagine che ne viene fuori è naturale chiedersi
perché mai il Corriere abbia scelto proprio Racalmuto per dedicargli
attenzione e spazio. Forse perché legato alle miniere di zolfo e
sale, alla Festa del Monte, a Pietro d’Asaro, a Marc’Antonio
Alaimo, al suo “papa nero”, alla “paparina” cosparsa sul
pane, alla sua storica massoneria, alle decine e decine di migliaia
di emigrati storici e moderni, alle chiese aperte e chiuse, agli ex
mandorleti, agli ex vigneti, e a tante altre cose?
La
risposta è univoca: perché è il paese di Leonardo Sciascia.
Eppertanto
dove si svolge il 24 luglio un’importante cerimonia alla presenza
di due ministri, un sottosegretario e altre e alte autorità civili
ecclesiastiche militari? Alla Fondazione Sciascia, naturalmente. E
chi ti dimenticano di coinvolgere? Innaturalmente, proprio il
Direttore letterario voluto da Sciascia stesso. In quell’occasione,
interpretando il proprio ruolo, il Direttore “non invitato”
avrebbe fatto capire perché quella cerimonia squisitamente politica
si stesse celebrando in un’istituzione culturale intestata ad uno
scrittore e non al municipio, luogo deputato alla rappresentanza
politica e all’amministrazione della città (nella precedente
visita del Presidente Napolitano il Direttore letterario prese
regolarmente la parola, come da protocollo. Si vede che con i
ministri il protocollo cambia).
Nella
duplice assenza del Direttore “non invitato” e della figura di
un moderatore, viene arruolato lì per lì come improvvisato
coordinatore un giornalista presente in sala, corrispondente del
Corriere della Sera, sarà sfuggito che nella stessa sala c’era un
presentatore televisivo già coinvolto in simili occasioni solenni, o
forse non era disponibile sul momento perché impegnato a distribuire
il giornale locale che personalmente dirige.
Il
giornalista coordinatore, del Corriere della Sera, non si limita a
moderare e coordinare ma davanti a cotante autorità e a tanto
pubblico locale e forestiero prospetta alcuni aspetti positivi di
Racalmuto, vengono fuori le simpatie delle sue frequentazioni
racalmutesi (alcuni l’avrebbero voluto come sindaco), indica il
ristretto gruppo redazionale del giornale distribuito in sala quale
“spinta del nuovo”. Ma un atteggiamento esclusivo ed elitario non
è certo il nuovo di cui si ha bisogno. Ciò nonostante, secondo la
patente conferitagli, tutti gli altri rappresenterebbero il vecchio.
Un
po’ superficiale, come sintesi di un paese da illustrare a ministri
ed autorità , ma giustificabile per l’estemporaneità
dell’intervento e per l’emotività.
(A
scanso di equivoci, preciso che al “foglio cittadino” di cui
sopra, “benedetto” da Sciascia, sono legato per avervi
collaborato e per avere contribuito a mantenerlo in vita quando,
nella diaspora palermitana di alcuni redattori aspiranti a più
lusinghieri lidi, il professore Restivo mi chiese di dare “na mani
d’aiutu a sti carusi”. Ma oggi il problema non è quel giornale
salvato. Né storicamente si può invertire la causa con l’effetto
quando Felice Cavallaro scrive che scrittori, registi, artisti e
giornalisti di vaglia “sono spesso qui calamitati dai ragazzi,
sempre meno ragazzi, di Malgrado tutto”. A calamitare è
stato ed è Sciascia, i “ragazzi” hanno “tesaurizzato”,
diciamo così, e continuano a tesaurizzare quelle presenze per
potenziare il loro giornale e arricchire le loro conoscenze e
attività).
Sempre
seguendo lo stesso filo conduttore, nella stessa giornata del 24
luglio, l’importante consesso si sposta al Teatro Margherita che
alcuni avrebbero voluto intestare a Sciascia, da Sciascia amato e
frequentato. Quale opportunità migliore di rappresentare un brano
dello scrittore e drammaturgo racalmutese impegnato a dibattere i
temi sociali e in primis quelli legati alla piaga mafiosa? Macché!
Si assiste, da parte degli invitati a numero chiuso, alla performance
sul palco di due comici, in coincidenza di uno loro spettacolo alla
Valle dei Templi, e alla rappresentazione della pièce
“regalpetrese” di un altro giornalista scrittore, che sa trarre
profittevolmente spunto dalle vicende mafiose e ama ricondursi
all’autore de “I mafiosi” e de “L’Onorevole”. Ma più
opportuno e consono, financo più rispettoso, sarebbe stato
rappresentare al teatro l’originale.
Dopo
queste cerimonie, su “Sette” del 10 agosto il servizio di Felice
Cavallaro, un reportage con l’indicazione a livello nazionale di un
modello positivo: “Commisariato per mafia, il paese di Sciascia
vuole diventare un modello per l’Italia”. Viene replicato sulla
carta stampata lo stesso “quadro” del paese rappresentato alla
Fondazione, ma chi ti vanno a dimenticare? Di nuovo il Direttore
letterario della Fondazione Sciascia che su facebook gli viene da
osservare: “Guarda un po', si parla della
Fondazione e di chi la dirige e l'unico che non si cita è il
direttore. Camarille strapaesane.”
Ma
camarilla di chi? Camarilla di che? Verrebbe la curiosità di
saperlo. Ridotta a camarilla strapaesana sarebbe la Fondazione
Sciascia su cui stuoli di politiciscrittorigiornalistiprofessori
hanno speso fiumi di inchiostro retorico? Ma allora qualche solitario
bastian contrario aveva ragione a temerlo in tempi non sospetti!
Altro che essere tacciato di tramare contro la Fondazione!! Comunque,
è da scongiurare per rispetto a tanti e a tante cose che queste
siano le dinamiche che dovrebbero segnare il percorso di un nuovo
cammino di crescita civile e culturale di una comunità. Oltreché
un’occasione storica mancata, sarebbe una smentita delle intenzioni
di chi, a livello redazionale o direttivo, nel nome di Sciascia,
collegava e finalizzava il reportage a più nobili fini, come
proclamato con tutta evidenza e senza equivoci sulla copertina del
settimanale “Sette”, settimanale del “Corriere della Sera”:
“Commissariato per mafia, il paese di Sciascia vuole diventare un
modello per l’Italia”.
Dal
conclamato “laboratorio” di Racalmuto-Regalpetra, da additare
all’Italia intiera, alla percepita camarilla strapaesana ce ne
corre: parola di sciasciani.
Ma
Sciascia, e vale per sciasciani e non sciasciani, avrebbe voluto
questo?
Non
avrebbe voluto questo volare basso chi ha scritto in Nero
su nero: “Quelli che appunto la
pensano come me non la pensano come me”.
Certo,
non è facile amministrare il patrimonio morale lasciatoci in eredità
dal grande scrittore, per gli equivoci e gli abusi che potrebbe
generare in chi ad esso si ispira.
Su
una cosa almeno si dovrebbe convergere: come concittadini non
vorremmo demeritare quella eredità al punto da dover dire,
ignominiosamente, “malgrado Sciascia”.
Piero
Carbone
Nonostante Sciascia Racalmuto è stato etichettato "paese di mafia" tuttavia questo continuo andare e venire di Ministri,Sottosegretari,per riaprire e continuamente inaugurare il Teatro , come a "scusarsi", mettono in dubbio lo stesso commissariamento,ho l'impressione che più di "mafia" trattasi d'incapacità degli eletti a "rappresentare" l'esigenze del Paese.
RispondiEliminaIl quadro diventa sempre più chiaro, Piero Carbone con precisione chiarisce alcune vicende. Le ambiguità portano alla diffidenza reciproca e si finisce con ingarbugliare le cose. Se la chiarezza fosse la “regola”, se ognuno esprimesse le proprie opinioni e aspettative, con chiarezza e sincerità, si eviterebbero diffidenze e cattivi pensieri. Questo paese credo abbia bisogno prima di tutto di pacificazione sociale. Invece di fare liste, proporre candidature, bisognerebbe semplicemente dare la propria disponibilità per costruire un programma condiviso, servono nuove regole con le quali ricostruire il paese. Le vecchie logiche di potere devono fare posto al contributo di tutti, la trasparenza amministrativa deve essere reale e verificabile da parti dei CITTADINI. Il problema non è individuare il sindaco e la giunta, ma come questi devono amministrare la cosa pubblica. Chi proprio non riesce a tenere le mani a posto, per cortesia, si astenga.
RispondiEliminaApprezzo il tentativo di Piero di iniziare in qualche modo a fare un po di chiarezza.
RispondiEliminaIl mio invito a percorrere questa strada, fatto qualche tempo fa su questo blog non riguardava, ovviamente solo Piero, ma tutti coloro che ritengono non possa esserci alternativa alla verità se si vuole crescere.
Se mi posso permettere vorrei fare un altro invito a Piero, di cercare di essere più esplicito usando possibilmente un linguaggio e un'impostazione espessiva che dia meno adito ad interpretazioni diverse del messaggio che si vuole trasmettere per consentire ad una platea più vasta di comprendere meglio.
(Questo vale anche per altri freguentatori del blog)
P.s. Questa nota non vuole avere, assolutamente, nessun significato polemico!
G. Guagliano
Caro Piero, quante cose Sciascia non avrebbe voluto! Figurati, non voleva nemmeno la fondazione: sapeva e temeva che si sarebbe abusato del suo nome. Era la cosa che gli dava più fastidio.
RispondiEliminaA incominciare dai nominativi da lui esclusi (vedi lettera autografa di Sciascia del 6 settembre 1989) ) e da voi, cioè dalla politica del tempo, inclusi, a vita - secondo lo Statuto - nel consiglio d'amministrazione. E non mi pare di avere letto mai un solo rigo di gratitudine e riconoscenza nei vostri confronti, cioè nei confronti dei politici del tempo. Anzi... ho letto soltanto prese di distanza.
EliminaFai bene e scordalo dice il detto; l'ingratitudine umana è immensa dice un altro detto; anche se in questo caso sitratta solamente di meschinità umana.
RispondiEliminaIo" proseguì don Mariano "ho una certa pratica del mondo; e quella che diciamo l'umanità, e ci riempiamo la bocca a dire umanità, bella parola piena di vento, la divido in cinque categorie: gli uomini, i mezz'uomini, gli ominicchi, i (con rispetto parlando) pigliainculo e i quaquaraquà. Pochissimi gli uomini; i mezz'uomini pochi, chè mi contenterei l'umanità si fermasse ai mezz'uomini. E invece no, scende ancora più in giù, agli ominicchi: che sono coe i bambini che si credono grandi, scimmie che fanno le stesse mosse dei grandi. E ancora di più: i pigliainculo, che vanno diventando un esercito. E infine i quaquaraquà: che dovrebbero vivere come le anatre nelle pozzanghere, chè la loro vita non ha pià senso e più espressione di quella delle anatre."
RispondiElimina-- Leonardo Sciascia (scheda)
dal libro "Il giorno della civetta" di Leonardo Sciascia