“Quante gocce di pioggia intorno a me, cerco il sole ma non
c’è. Penso alla campagna e l’odore della terra, già l’odor di grano sale adagio
verso me, e la vita nel mio petto batte piano, respiro nella nebbia e penso
che….. e leggero il mio pensiero vola
già.”
Questa volta sentivo che era diverso. E’ stato un ritorno
difficile, persino il mare, giunti all’altezza dell’isola d’Elba si è prima
increspato e poi agitato, facendomi vomitare l’anima. Non mi era mai successo
di ritornare senza entusiasmo, senza quella voglia di ritrovare il proprio
nido; questa volta ho avuto una sensazione davvero strana, mi è sembrato di
essere come un uccello migratore che ha perso l’orientamento e l’antica rotta. Sbarcato
dalla nave, ho dato una occhiata al termometro del cruscotto: segnava diciotto
gradi, ne avevo lasciato trentotto, il cielo era nero e non prometteva niente
di buono, mi sono fermato al primo distributore per prendere un caffè e quando sono
uscito già pioveva, anzi diluviava. Sentivo tanta tristezza e pensavo a tutti quelli che sono stati
costretti ad emigrare, costretti dalla fame, dall’impossibilità di potere creare
un futuro per sé e per i propri figli nel luogo dove sono nati, con la speranza
di trovare la buona sorte. Partirono in tantissimi con la morte nel cuore e le poche
misere cose nelle valigie di cartone tenute chiuse con la corda . Ad attenderli
in quella terra che non era la loro tanti disagi, la lingua che non capivano e
li faceva sentire diversi. Quante umiliazioni! I nuovi padroni pagavano loro il
salario ma non erano meno duri di quelli che avevano conosciuto e a volte i
loro sogni e le loro speranze restavano sepolti con loro in fondo alla miniera
di carbone. Emigrare è un atto di disperazione e di coraggio, lasciare il luogo
dove si è nati è innaturale e provoca grande sofferenza. Partire è un po’ come morire.
Quante volte abbiamo sentito dire: “CU NESCI ARRINESCI”; negli anni settanta i nostri emigrati in
Germania tornavano in paese d’estate e ci tenevano a farsi vedere con la prova
del benessere conquistato, la loro macchina personalizzata in maniera
aberrante: i copri volante di pelliccia zebrato, i copri sedili in pelliccia di
pecora, una enorme coda di volpe che pendeva dallo specchietto retrovisore e i cagnolini
di plastica sul lunotto posteriore che muovevano la testa. Il messaggio che
lanciavano era forte e chiaro. A volte mi chiedo se sono stati più furbi o intelligenti
quelli che sono partiti o quelli che sono rimasti. Penso che in fondo chi è rimasto,
pur nella difficoltà di dover vivere di espedienti e di lavori precari al
comune, egoisticamente ha fatto la scelta più comoda, anche se forse saranno i
loro figli a dovere emigrare. I figli degli emigrati hanno sicuramente un
futuro e una vita migliore da tutti i punti di vista, si sono integrati in una
società civile che noi Siciliani sconosciamo.
Roberto Salvo
Guardare avanti e non vedere la via di scampo. Questa, forse, era la condanna peggiore dei nostri emigrati. Persone che solamente sentendo pronunciare "Racalmuto", si scioglievano in un pianto dirotto.
RispondiEliminaEmilio
"i copri volante di pelliccia zebrato, i copri sedili in pelliccia di pecora, una enorme coda di volpe che pendeva dallo specchietto retrovisore e i cagnolini di plastica sul lunotto posteriore che muovevano la testa",che gran campionario trash.
RispondiEliminaRoba di altri tempi,gli affetti familiari sono l'unica cosa che mi lega a Racalmuto, non vedo tutto questo entusiasmo su questa terra, mi sembra una cattiva matrigna.
Anzi abitando in Trentino-Alto Adige, una regione a statuto speciale come la nostra Sicilia ho scoperto come i nostri politici(siciliani) hanno tradito l'autonomia e il popolo siciliano !
La Lombardia non è il Trentino, d’accordo, ma le assicuro che non ci si vive male, abbiamo la migliore sanità, i migliori trasporti e servizi di ogni tipo, ma questo non c’entra niente con quello che ho cercato di dire. La Sicilia, Racalmuto, potrebbe essere il luogo più appestato del mondo ma ionon lo cambierei con nessun altro. L’amore per il proprio paese, a mio avviso, prescinde da ogni valutazione, lo si può odiare ed amare contemporaneamente. Gli Americani lo chiamano “imprinting”, è una forza misteriosa che nessuno può vincere. Anch’ io quasi sempre parlo malissimo della Sicilia e della mia Racalmuto, MA LO FACCIO CON GRANDE AMORE.
EliminaSig Salvo,
Eliminale sue ultime parole mi hanno commosso.
Un caloroso saluto
Francesco
"Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c'è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti". "La luna e i falò" di Cesare Pavese
RispondiEliminaCi vorrebbe veramente un paese che resta ad aspettarti!
RispondiEliminaIl coraggio di andarsene o il coraggio di restare? La paura di andarsene o l'incoscienza di restare?
RispondiEliminaCredo che la risposta sia una sola ed è la sfortuna di essereci nati in una terra bella e dannata, isola ed isolata, fruttuosa e sfuttattata, intelligente e schiava. Forse solo i nostri nipoti potranno vedere questa terra sviluppata ed il suo popolo riscattato grazie all'abbatimento di molte, tante barriere che saranno superate dalla cultura e dall' elevato livello di comunicazione. Forse un puro colpo di mause farà molto di più di un falso comizio.
A proposito, Roberto, ti ricordi la traduzione che ti fece un tuo alunno egiziano di Rahal Mauth?
Il Paese del Silenzio. Sarebbe bello far diventare racalmuto un paese albergo dove oltre alla "Ragione" si offre anche la possibilità di villeggiare in un luogo tranquillo lontano dal caos delle grandi metropoli e a venti chilometri dal mare e dalla valle dei templi.
Chissa se un giorno potremmo vendere il nostro silenzio?
Secondo me già c'è qualcuno che vorrebbe comprarlo ma non per una settimana di ferie ma per sempre.
"Cu t'alliscia chiossa di quantu si soli o mali ta fattu o mali ti voli", ultimamente strani personaggi si aggirano per le vie del paese, gente con la puzza sotto il naso, qulcun altro addirittura con la puzza in tasca e qualcun altro ancora sembra camminare "'ncapu la cartedda di la munnizza.
Comunque noi siamo gente povera e dignitosa ed il nostro silenzio è d'oro.
"Pecunia non olet", ma vi assicuro che se non prendo sbaglio i soldi di questo Do' puzzano e pure parecchio.
Il tuo post mi ha commosso.Mi ha fatto rivivere momenti vissuti alla stazione di Racalmuto(quando era attiva):il campanellino suonava,il treno compariva dal
RispondiEliminacurvone e urla di dolore si levavano alte dai parenti,mamme,moglie e figli di chi aveva deciso di andar via in cerca di un lavoro dignitoso che il paese non
aveva saputo dare.Era un dolore cupo e disperato di chi stava recidendo radici
difficili da ricostruire ovunque.Era simile ad un lutto,si andava a far visita
a quelle famiglie e qualche volta si portava il'consolo'
Era il tempo della chiusura delle miniere.
Alle volte ci penso agli emigrati, quelli della prima ora che fecero vedere il colore del dollaro ad una terra come la nostra. Penso ai pianti dei loro cari, alla loro angoscia nell'intraprendere un viaggio lungo quanto la terra. L'america; ho un vecchio 78 giri venuto proprio da lì, la strofa recita cosi:" ccu dici ca l'america e terra di ricchizzi 'un sapi ca si provanu puru li dibbulizzi" ricchezza, ma non per tutti. Molti hanno lasciato le miniere, dove si campava e si moriva contemporaneamente e sono andati a morire in un posto dove non avrebbero mai immaginato, altri hanno fatto fortuna e sono tornati con l'orologio da tasca e i più sono rimasti. Sono diventati americani, canadesi, venezuelani, tedeshi, olandesi ecc.ma tutti con un unico sogno nel cuore, i miseri luoghi dell'infanzia, della famiglia, della mammma. ora io non capisco cos'è che ci porta sempre lontano dalle cose che amiamo, a volte l'ingordigia dei più forti, a volte la bontà dei più deboli, forse. Roberto oggi parla di questo, molto profondo il suo dire, però se ci fermiamo al dire e come fare una rivoluzione a metà, come buttare un sasso solo per osservare i cerchi nell'acqua. Questo nostro triangolo ha la sua storia scritta sul soffitto della cappella palatina, basterebbe leggerla e metterla in atto, allora, forse, tutto questo non si verificherebbe mai più.
RispondiElimina
Elimina"COS'E' CHE CI PORTA LONTANO DALLE COSE CHE AMIAMO" potrebbe scrivere un libro che ruota attorno a questa frase, Lei è un poeta mancato!!!
Farebbe una fortuna, un po meno come politico, visto che non capisce cosa ci porta sempre lontano!