Altro
che Christiaan Barnard! Mia madre sì che era una grandissima
chirurga.
Tutti
gli anni dopo la chiusura della scuola, si organizzava la “
campagnata “ . Puntualmente verso la fine di maggio, mio fratello
Totò e mio fratello Gigi, venivano incaricati di andare ad
imbiancare la casa di campagna che si trovava in contrada “CUTI”,
per intenderci un chilometro più avanti, andando verso Canicattì,
dal centro commerciale Le Vigne. Armati di pennelloni e tutto quanto
l’occorrente necessario e senza molto entusiasmo, i miei fratelli
svolgevano questa incombenza e, per renderla meno noiosa, si
schernivano disegnando sulle pareti le loro caricature con relativo
nomignolo.
Entro
la prima settimana di giugno, una mattina arrivava il carretto dove
veniva caricato tutto quello che bisognava trasferire in campagna,
l’ultima operazione che mia madre faceva era quella di catturare i
gatti e sistemarli dentro un sacco di iuta che una volta chiuso con
lo spago veniva appeso sotto il carretto. Mio fratello Gasparino con
la sua seicento ci trasportava comodamente in campagna, dove mia
madre per prima cosa faceva ardere delle scarpe vecchie; era convinta
che questo servisse a tenere lontano dalla casa le serpi.
Verso
la fine di giugno da Palermo arrivava mia sorella Concettina con i
miei tre nipoti, in verità essendo tutti e quattro quasi coetanei
sembravamo fratelli. I giorni scorrevano piacevolmente, inventavamo
ogni giorno dei nuovi giochi, eravamo liberi di fare qualsiasi cosa e
avremmo voluto che quei giorni non passassero mai, a volte si
litigava alla grande, ma non riuscivamo a tenerci il broncio per più
di dieci minuti.
Verso
la fine di agosto mia sorella con tutta la famiglia tornava a Palermo
ed io restavo solo, il mese di settembre era diverso senza i miei
nipoti con i quali potere giocare, ma in quel mese c’erano tanti
lavori da svolgere, la raccolta delle mandorle e quella più
impegnativa delle noci.
Ogni
anno nel mese di settembre mia madre apriva “la clinica di li
capuna”, mia madre era bravissima in questo che potremmo definire
un vero e proprio intervento chirurgico, l’asportazione dei
testicoli ai galletti, per trasformarli in capponi. Lo so! A
pensarci oggi è terribile, una violenza inaudita a quelle povere
bestiole, ma allora era perfettamente normale praticare questa
terribile usanza.
Tutti
i contadini delle vicinanze venivano da mia madre, perchè ad
eccezione di qualcuno tutti i galletti sopravvivevano all’intervento.
Ricordo in particolare quando veniva lu zi Beniaminu di “li
shiumeti”, (contrada cometi), con due giumente che trasportavano
quattro “cufina” pieni di galletti da operare. Quella mattina mia
madre non prendeva impegni, avrebbe operato ininterrottamente tutti i
galletti di lu zi Beniaminu.
La
sala operatoria veniva allestita nella terrazza di tramontana e tutti
noi avevamo un compito da svolgere: lo zio Beniamino porgeva il
galletto a mia madre che lo stringeva tra le gambe ed iniziava
l’intervento, io avevo l’incarico di porgere il piatto dove
venivano posti gli organi asportati compresa la cresta tagliata e,
nel caso in cui il povero galletto dava segni di non farcela più,
“tipo lo stiamo perdendo, lo stiamo perdendo”, dovevo porgere
immediatamente un contenitore pieno d’acqua dove venivano immersi i
piedi del povero animale per fargli riprendere i sensi, una specie di
defibrillatore casereccio. Mia sorella Ida era sempre pronta con ago
e filo da dare a mia madre per la sutura.
A
pensarci bene oggi, una scena infernale, lo zio Beniamino finiti gli
interventi, ritornava nella sua campagna contento perché tutti i
galletti avevano superato l’intervento e a forza lasciava quanto
asportato agli animali per una bella frittata con le uova, “pi li
carusi” diceva.
Oggi
fortunatamente tutto questo non esiste più e nessuno, credo, ne
sente la mancanza; io ho voluto raccontare questa usanza
semplicemente perché fa parte delle nostre tradizioni e anche per
ricordare mia madre che ho perso un Natale di tantissimi anni fa.
Adesso
i capponi, che non sono capponi, li compriamo al supermercato
contenti che non abbiano ricevuto la tortura dei tempi andati, ma a
parte l’insipidezza delle carni, siamo sicuri che il loro
allevamento non sia stato peggio di quanto raccontato?
Colgo
l’occasione della pubblicazione di quest’articolo per fare a
tutti i miei compaesani e ai lettori del blog, gli auguri di Buon
Natale e di un sereno Anno Nuovo.
Roberto Salvo
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