La
prima parte delle feste è passata. Tante persone in piazza, tanti gli incontri,
gli auguri, le strette di mano. Serate in giro per novene, pietanze della
cucina tradizionale racalmutese. Tanta atmosfera e tanti discorsi.
Non manca
certo parlare di politica. Ognuno vuole dire la propria. C’è chi difende
l’operato di questo o quel politico, chi si aspetta che prima o poi altri
facciano i nomi di chi si è reso responsabile di una situazione che attualmente
a me sembra in stallo. Se domani finisse il mandato dei Commissari – discutevo
con alcuni amici – Racalmuto non sarebbe pronta ad identificare nuove forze in
grado di guidare il paese.
E forse cadrebbe nuovamente in espressioni già
viste, ampiamente provate che, se non redente, rappresenterebbero un passo
indietro e mai, senza alcun dubbio, in avanti. Stasera al Circolo Unione ho
ascoltato un dibattito sugli arcipreti di Racalmuto. Tra una domanda e
un’altra, anche qui, si è finito per toccare l’argomento politica. I giudizi
espressi hanno spaziato dal commissariamento, al degrado sociale ed economico, all'impegno dei giovani, all’ opportunità di uno scioglimento del Comune visto, da alcuni, come un fatto
“esagerato”, da altri come un’ evidenza necessaria per scrollarsi di dosso un
modo di operare che aveva fatto, col passare degli anni, normalità di gestioni
errate.
In tutti i discorsi che si sono fatti in piazza, nei circoli, a ridosso
delle novene, nelle case attorno a una tavola imbandita, ho avuto la netta
sensazione che nessuno ha coscienza di cosa sia stato il passato, di quello che
realmente sia successo, perché è successo e, soprattutto, cosa sarà il futuro,
se non un procedere a tentoni provando e riprovando alleanze, dialettiche
forbite e sbandierate, giustificazioni a totale o parziale discolpa, quando la
colpa è esageratamente evidente. Molte parole, nessun fatto che possa far
intendere un’organizzazione costruttiva per un tangibile cambiamento.
Troppi
solisti con spartiti diversi. L’orchestra si compone di tanti musicanti che
suonano lo spartito ed esprimono all’unisono una composizione magistralmente
corale, ognuno col proprio strumento e con la propria espressività. Molte le idee confuse, evidenza di una
Racalmuto che sembra non essere ancora pronta a camminare con le proprie
gambe.
Racalmutese Fiero
Carissimo Racalmutese Fiero,
RispondiEliminaCondivido il Suo sconforto. Va aggiunta qualche cosa a quanto argutamente Lei afferma:
1. I "musicanti" devono conoscere ognuno il proprio strumento in modo da fargli esprimere interamente la sua "espressività".
2. Per arrivare alla conoscenza del proprio strumento devono avere l'umiltà e l'impegno di studiarlo e di approfondirlo.
3. Per potere passare alla fase esecutiva del proprio impegno, il "musicante" deve avere l'accortezza di mettersi in armonia con gli altri.
4. Il pezzo da suonare "all’unisono e magistralmente corale" ha necessità di una piccola bacchetta, guidata da un signore che non suona alcuno strumento, ma è responsabile della riuscita armonica del pezzo suonato.
In paese, le premesse ora accennate non sono presenti. Cioè non si è dinanzi a orchestrali che eseguono spartiti diversi, ma di gente che non ha mai studiato un solo strumento, ma che ha anche la sfrondatezza di mettersi in mano uno strumento musicale qualsiasi (anzi cambiandone uno in ogni situazione) con la prosopopea di cimentarsi in una sinfonia di Beethoven.
Bisogna con questo deprimersi e limitarsi alla critica sterile?
Credo che la strada peggiore. Partendo dal negativo, bisogna avere la tenacia, come diceva Sciascia, di alzare gli occhi dal fango e guardare un pò più in alto e lontano.
Caro anonimo,
RispondiEliminacondivido la sua premessa. Purtroppo, da racalmutese, mi dispiace dirlo, nessuno ha il coraggio di alzare gli occhi dal fango.Forse è meglio così, perchè quel qualcuno che dovesse alzare gli occhi, visto che li avrebbe infangati, vedrebbe le persone oneste infangate come lui. Ed è questo il male peggiore del nostro paese.