Negli
ultimi mesi, tante sono state le manifestazioni che hanno coinvolto più classi
della società civile, dagli studenti ai lavoratori. Manifestano un disagio per
le attuali condizioni in cui versa la scuola, le fabbriche, l’economia,
l’occupazione e tutto il sistema politico italiano, che sembra non accorgersi
delle esigenze pressanti di una società che rischia il default.
Non volendo
assolutamente fare un parallelismo – i tempi diversi, le problematiche attuali
non lo permetterebbero – vorrei puntare l’attenzione ai metodi di manifestare che,
in passato sono stati presagio di un dilagare di contestazioni, alcune perdendo
la vera motivazione, sfociate poi in movimenti criminali che hanno reso buia
una lunga pagina di storia italiana.
Il ’68, in Italia, rappresentò soprattutto
modernizzazione culturale, dando il via a una nazione più progredita che
avrebbe in seguito varato le leggi sul divorzio e che partorì uno straordinario
movimento femminista. Un’epoca che vide una stagione fiorente nel campo del
cinema e della letteratura. Da molti il ‘68 è stato definito un vento di “filosofica
follia”. L’Italia dopo quegli anni non fu più quella di prima. Furono gli anni
della contestazione globale che vide come protagonisti gli studenti. Allora
come ora.
Effetto di un futuro incerto e di una crisi iniziata negli anni
precedenti e sfociata poi, in tutta la sua drammaticità. La contestazione,
frutto di uno smarrimento, assunse toni di estremismo e si propagò in tutti i
campi. Iniziò nell’ ambito della scuola che lamentava un’organizzazione degli
studi senza raffronto alcuno con la realtà. Si propagò, sfociando nella
sollevazione sindacale, alle forze
lavorative. Si voleva o forse ci si illudeva, di cambiare il mondo, trasformando
il sistema.
Analizzando, il ’68 possiamo
definirlo come presa di coscienza di un’Italia che muoveva i primi passi nel
boom economico e che avrebbe conosciuto, in futuro, periodi di profonda crisi
dei valori, coinvolgendo l’ambito politico istituzionale. Anticipando le
questioni odierne, quegli anni possono apparire estremamente attuali,
obbligando a far capire che la ragione deve essere l’unica a suggerire le
giuste politiche da applicare a una società sempre più competente, sempre più
razionale ed esigente.
Racalmutese Fiero
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