Esiste una frase
abusata che dice: “Il lavoro nobilita l'uomo”. Mai di più attuale in un
particolare periodo di crisi occupazionale nel quale molti giovani sono
costretti ad accettare dei compromessi di scelta, se fortunati o a vagare tra
un’agenzia di collocamento e un’altra alla ricerca di una qualunque occupazione
che rischia di non arrivare. Saremmo disposti a svolgere qualunque attività pur
di lavorare, liberarci dalla noia,
dall'ozio, renderci autonomi e dare uno scopo alla nostra esistenza. Ci
risuona nella mente costantemente, come un tarlo quanto importante sia il ruolo del lavoro
nelle nostre vite.
Ma siamo così sicuri
che nell'epoca contemporanea, l'era supertecnologica, il lavoro si possa ancora
intendere come un valore aggiunto che serva a dare senso alla nostra vita? O
piuttosto non sarà proprio il lavoro a immergerci in una realtà in cui il
nostro fare è completamente sganciato da uno scopo? Non sarà che siamo pedine
di un meccanismo senza coinvolgimento alcuno, rappresentando un qualunque
ingranaggio di un sistema? L'artigiano di un tempo esprimeva se stesso
attraverso la sua opera, il tecnico e il manager di oggi esprimono se stessi,
oppure semplicemente l'impianto razionale del processo di produzione di cui
fanno parte? È possibile immaginare, oggi, una dimensione lavorativa nella
quale ognuno di noi possa testimoniare la sua unicità attraverso il proprio
agire?
Il lavoro rappresenta
ancora un quotidiano molto rilevante nella nostra vita, attraverso il quale
diamo molto per scontato. Certezze che potrebbero sgretolarsi se
pensassimo quanto un lavoro, seppur
gratificante e ben remunerato provochi in noi uno stress correlato. Da considerare ,anche , le nuove generazioni,
quelli che portano il lavoro a casa, che
non conoscono stacco dalle ore lavorative e relegano la loro vita privata a
spazi ridotti che si risolvono, tutto sommato, come un’aggiunta di stress.
Tutto viene vissuto con preoccupante frenesia: gli amici, la famiglia, i propri
hobby. La mente è sempre rivolta al lavoro che sembra aspettarci come una scadenza
e dal quale non riusciamo a staccarci.
Alla lunga questi comportamenti finiscono per
condizionare ogni rapporto e rendere
difficile persino la convivenza con noi stessi. Siamo costantemente nervosi,
preoccupati, ansiosi. Comportamenti che rischiano di sfociare in vere
patologie. La società moderna, il ritmo dei manager, i giovani rampanti, gli
arrampicatori, gli ambiziosi di carriere,
non si concedono tregua e quel
lavoro che prima ci appariva come una fortunata quanto incredibile
soddisfacente conquista, rischia di tramutarsi in una trappola dalla quale non
riusciamo a venirne fuori. Lo spazio vitale si riduce e la nevrosi o le
malattie cardiovascolari possono fare la loro pericolosa comparsa.
Siamo ancora in tempo!
Riappropriamoci della nostra vita, dei nostri spazi,
concediamoci le giuste pause e, se non
stiamo lavorando, stacchiamo la spina e godiamo di una giornata, di una
piacevole cena con gli amici o semplicemente, della compagnia della persona cara. Questo ci salverà da un vortice
pericoloso che rischia di risucchiare tutta la nostra esistenza. Lavorare con
impegno e passione sì, ma per vivere e non vivere per lavorare.
Racalmutese Fiero
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