mercoledì 21 marzo 2012

LO SVILUPPO SOSTENIBILE

Personalmente non ho una simpatia incondizionata per le rivoluzioni. La storia ci insegna che spesso le rivoluzioni si accompagnano a dolorosi bagni di sangue e alla costruzione, sulla base di utopie costruite a tavolino, di veri e propri inferni sulla terra. Gli uomini hanno una natura contraddittoria e sembra che l'esistenza umana mal sopporti un surplus di pianificazione e di perfezione.
Tuttavia è innegabile che l'economia, che il capitalismo ha portato a trionfare nella maggior parte dei Paesi del mondo, abbia prodotto e stia tuttora producendo degli effetti secondari inquietanti, che preoccupano ormai buona parte dell'opinione pubblica.
La maggior parte di noi apprezza le conquiste scientifiche e tecniche, i raggiungimenti in termini di ricchezze e comodità conseguiti in Occidente durante la gloriosa evoluzione della sua economia, che tanti benefici ha prodotto, lasciando per strada purtroppo anche tante vittime. 
Come apprezza il febbrile dinamismo che caratterizza l'homo economicus: tutti ammiriamo il dipendente stakanovista, l'imprenditore che produce merci sempre nuove, il self made man che sa salire nella scala sociale per merito del lavoro indefesso e dell'abilità personale. Ma qualcosa nell'edificio della vincente e globalizzata economia capitalistica sembra vacillare. L'organizzazione della vita occidentale lascia insoddisfatta una parte crescente di cittadini e consumatori. Nuove aspirazioni e nuovi bisogni si sono fatti strada progressivamente nella coscienza collettiva negli ultimi decenni. 
Se non una vera e propria rivoluzione nel modo produrre e di organizzare l'esistenza, pur invocata da molti, molti di noi reclamano un deciso cambiamento di rotta a livello globale.

Il parossistico sviluppo dell'economia, l'inseguimento della crescita economica a qualsiasi costo, l'ossessione per l'incremento del Prodotto Interno Lordo hanno provocato problemi che rischiano di trasformarsi in catastrofi: inquinamento dell'aria e dell'acqua, desertificazione di intere regioni, diffusione delle piogge acide, cambiamenti climatici indotti dall'effetto serra, riduzione dello strato di ozono, estinzione di molte specie viventi, carestie, sovrappopolazione.
A livello sociale aumenta il divario tra Paesi ricchi e Paesi in via di sviluppo, tra chi ha troppo e chi non ha il necessario. Nelle città aumentano la violenza, la solitudine, l'insicurezza e la mancanza di valori morali di riferimento. Anche nell'ambito delle popolazioni più ricche, il senso di appartenenza a una comunità e la solidarietà sono soffocate dalla corsa al profitto e all'interesse personale. L'ideologia della crescita e del consumo illimitati sta mettendo in crisi i sistemi di welfare dei Paesi più evoluti. La spesa sanitaria, per esempio, indotta da uno sviluppo tecnologico che non accetta limiti, sta diventando insostenibile per molti Stati un tempo modello di buona amministrazione.

Sono in pericolo la sopravvivenza della specie e la qualità della vita. I cultori delle scienze sociali ci assicurano che la felicità individuale non è proporzionale al guadagno: oltre un certo reddito sono altre le circostanze che determinano la soddisfazione personale. L'accumulo di denaro non sembra in grado di rispondere pienamente alle esigenze umane più profonde.

Senza falsi e azzardati moralismi è forse giusto invocare un cambiamento che metta in primo piano, nell'ambito della produzione e delle esistenze individuali, la qualità a scapito della quantità. Occorre una critica responsabile e costruttiva al consumismo imperante che ci sta sommergendo di rifiuti, che ci obbliga a ritmi di lavoro insostenibili, che sta esaurendo le risorse del pianeta. Occorre una partecipazione autenticamente democratica dei cittadini al governo della cosa pubblica. Bisogna cominciare a ragionare in termini globali, superando le logiche utilitaristiche e nazionaliste.

Senza sovvertimenti radicali che rappresentano altrettanti salti nel buio, molto si può e si è incominciato a fare, sul piano della salvaguardia dell'ambiente e della solidarietà sociale. Molti cittadini hanno compreso che la crescita illimitata è un mito pernicioso, non costituisce più un obiettivo legittimo e auspicabile. Come ha fatto notare un eminente economista, Giorgio Ruffolo, in un suo recente scritto, "Solo i conti in banca crescono al ritmo assurdo degli interessi composti, gli alberi e i bambini a un certo punto si fermano, i primi per verdeggiare di più, gli altri per ragionare meglio (si spera)". 

Soprattutto sono tanti coloro che hanno acquisito la consapevolezza che preservare il nostro pianeta per consegnarlo integro alle future generazioni, affinché ne possano godere la bellezza e l'integrità delle risorse, è un imperativo morale cui non si può derogare.
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